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– Sì. V’affatica molto, non è vero?

– È una fatica così piacevole – ella rispose – che sarei quasi un’ingrata a chiamarla con questo nome.

– Nulla di ciò che è buono, vi è difficile – dissi.

Ella impallidì di nuovo, e ancora una volta, nell’atto che abbassava la testa, le scorsi lo stesso melanconico sorriso.

– Aspetterete per vedere mio padre – disse Agnese, serenamente – e passerete la giornata con noi. Volete dormire nella vostra antica camera? Noi sempre la chiamiamo vostra.

Non potevo rimanere, perché avevo promesso a mia zia di esser di ritorno la sera, ma potevo passare la giornata con loro.

– Io debbo essere prigioniera per un po’ – disse Agnese

– ma ecco qui i vecchi libri, Trotwood, e la vecchia musica.

– Anche i vecchi fiori son qui – dissi, guardando in giro

– o almeno le vecchie specie.

– Il mio piacere è stato – rispose Agnese sorridendo – di tenere, durante la vostra assenza, tutto come soleva essere quando eravamo bambini. Perché penso che eravamo felici allora.

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– Sì che eravamo felici – dissi.

– E tutto ciò che mi ricordava mio fratello – disse Agnese, volgendo lietamente su me i suoi sguardi affettuosi –

m’ha fatto la più cara compagnia. Anche questo – e mi mostrò il panierino pieno di chiavi, sospeso al suo fianco – par che tintinni una specie di vecchia canzone.

Ella sorrise di nuovo, e uscì per la porticina per la quale era entrata.

Era mio dovere di conservarmi con cura religiosa quell’affetto di sorella. Era tutto ciò che mi rimaneva, ed era un tesoro. Se avessi scosso pur una volta le fondamenta della sacra fiducia e della consuetudine, in virtù delle quali m’era dato, l’avrei perduto senza più speranza di ricuperarlo. Mi persuasi fermamente di questo. Più le volevo bene, e più doveva starmi a cuore di non dimenticar questo.

Andai a spasso per la città; e rivedendo ancora una volta il mio antico avversario il macellaio – diventato una guardia, col bastone, simbolo d’autorità, appeso alla parete della bottega – andai a dare una capatina al luogo dove l’avevo battuto, e colà meditai sulla signorina Shepherd, e la maggiore delle signorine Larkins, e su tutte le mie futili passioni e simpatie e antipatie di quel tempo. Pareva che di quel tempo non sopravvivesse altro che Agnese, la quale splendeva su di me come una stella, e diventava sempre più lucente.

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Al mio ritorno, il signor Wickfield era arrivato da un giardino che egli aveva un paio di miglia fuori di città, e che l’occupava quasi ogni giorno. Lo trovai come mia zia me lo aveva descritto. E ci mettemmo a desinare, con una mezza dozzina di bambine, ed egli non sembrava che l’ombra del suo bel ritratto sul muro.

La tranquillità e la pace che io associavo, da tanto tempo, in mente mia, a quel luogo, lo circondavano ancora.

Finito il desinare, siccome il signor Wickfield non volle più il vino, e io come lui lo rifiutai, andammo di sopra, dove Agnese e le sue piccole allieve cantarono e sonaro-no, e lavorarono. Dopo il tè, le bambine ci lasciarono, e noi tre c’intrattenemmo parlando del passato.

– Io vi trovo – disse il signor Wickfield, scotendo il capo canuto – molte ragioni di rimpianto... di profondo rimpianto, e di amaro pentimento Trotwood, voi lo sapete bene. Ma se potessi cancellare il passato, non lo can-cellerei.

Lo credevo facilmente, solo guardando il bel viso che gli era a fianco.

– Cancellerei con esso – egli continuò – il ricordo della pazienza e della devozione, della fedeltà e dell’amore di mia figlia, che debbo sempre tener presenti, anche dimenticando me stesso.

– Comprendo, signor Wickfield – gli dissi dolcemente. –

Io la venero... Io la... io l’ho sempre tenuta in venerazio-1497

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ne.

– Ma nessuno sa, neanche tu – egli rispose – quanto ella abbia fatto, quanto abbia sofferto, con quanto coraggio abbia lottato. Cara, cara Agnese!

Ella gli afferrò con la mano il braccio in atteggiamento supplichevole, per fermarlo; ed era pallida pallida.

– Via, via! – egli disse con un sospiro, respingendo evidentemente il ricordo d’un dolore che sua figlia aveva dovuto sopportare e che forse sopportava ancora (pensai a ciò che m’aveva detto mia zia). – Trotwood, io non ti ho mai detto nulla di sua madre. Te ne ha parlato mai nessuno?

– No, signore.

– Non v’è molto da dire... benché ella abbia avuto molto a soffrire. Mi sposò contro la volontà di suo padre, ed egli la rinnegò. Ella lo pregò di perdonarle, prima della nascita di Agnese. Era uomo durissimo, e la madre gli era morta da parecchio tempo. Egli respinse la preghiera, e le infranse il cuore.

Agnese s’appoggiò sulla spalla di suo padre, e gli mise il braccio intorno al collo.

– Era un cuore affettuoso e dolce – continuò – ed egli glielo infranse. Io sapevo quanto era delicato. Nessuno meglio di me poteva saperlo. Ella m’amava molto, ma non fu mai felice. Soffriva sempre in segreto di quella 1498

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ripulsa dolorosa, e, delicata com’era e depressa al tempo dell’ultima ripulsa... perché ne aveva sperimentate parecchie... andò languendo pian piano, e morì. Mi lasciò Agnese, nata da quindici giorni, e i capelli grigi che mi vedesti la prima volta che entrasti qui.

Egli baciò Agnese sulla guancia.

– Il mio amore per la mia cara bambina era un amore morboso, perché io avevo malata tutta l’anima. Ma non voglio dir nulla di questo. Non parlo di me, Trotwood, ma di sua madre e di lei. Se ti do qualche cenno di ciò che sono, o di ciò che sono stato, tu saprai ricostruir tutto, lo so. È inutile dirti ciò che sia Agnese. Nel suo carattere ho letto sempre qualche cosa della storia della sua povera madre, e così io te lo dico, stasera che siamo tutti e tre insieme di nuovo, dopo tanti mutamenti. T’ho detto tutto.

Egli abbassò la testa, e l’angelico viso di lei e il dovere filiale da lei compiuto assunsero ai miei occhi un più pa-tetico significato. Una scena così commovente era fatta per fissarmi particolarmente nella memoria il ricordo di quella sera, la prima della nostra riunione.

Non passò molto, ed Agnese si levò dal fianco di suo padre; e, messasi al piano, sonò alcune delle vecchie arie che spesso avevamo ascoltate nella stessa stanza.

– Avete intenzione di mettervi in viaggio di nuovo? – mi chiese Agnese, mentre le stavo a fianco.

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– E qual è il pensiero di mia sorella?

– Spero di no.

– E allora non ho una simile intenzione, Agnese.

Are sens