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Trovai che si facevano grandi professioni di fede molto simili – il che mi pareva sospetto – nel fondo e nella forma. Trovai una gran quantità di volpi che denigravano le viti dai grappoli inaccessibili; ma pochissime alle quali si potesse affidare un grappolo a portata di unghie.

Osservai specialmente che quelli che facevano più ampie professioni di pentimento e di conversione formavano uno speciale oggetto d’interesse; e che la loro millan-teria, la loro vanità, la loro smania di grandezza e il loro 1513

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amore dell’illusione (che molti avevano in misura incredibile, come era dimostrato dalla storia della loro vita), tutto li spingeva a quelle professioni, con grande loro vantaggio.

Pure, sentii così ripetutamente, durante i nostri andiri-vieni, parlare di un certo numero Ventisette, che era il favorito, e che veramente sembrava fosse un prigioniero modello, che risolsi di sospendere ogni giudizio finché non avessi veduto il Ventisette. Il Ventotto, appresi, era anche una stella d’uno splendore particolare; ma aveva la disgrazia di aver la sua gloria un po’ appannata dal chiarore straordinario del Ventisette. Sentii tante lodi del Ventisette, e delle sue pie ammonizioni a chiunque gli capitasse d’attorno, e delle lettere che scriveva continuamente a sua madre (da lui ritenuta sulla via della perdizione), che mi spronò una viva impazienza di conoscerlo.

Dovetti frenarla un po’, perché il Ventisette ci era riservato per l’effetto decisivo. Ma finalmente arrivammo alla porta della sua cella; e il signor Creakle, messo l’occhio a un buco nel legno, ci riferì, raggiante di ammirazione, che il prigioniero era occupato a leggere un libro di preghiere.

Vi fu subito un tale agglomeramento di teste per vedere il numero Ventisette occupato a leggere il libro di preghiere, che il buco fu subito ostruito, sotto uno spessore di sei o sette teste. Per rimediare a questo inconveniente, 1514

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e darci l’opportunità di conversare col Ventisette in tutta la sua interezza, il signor Creakle fece aprire la porta della cella, e invitare il Ventisette a uscire nel corridoio.

Fu subito fatto. E qual non fu la nostre meraviglia, la mia e di Traddles, nel vedere in quel pentito numero Ventisette l’indubitabile effigie di Uriah Heep!

Egli ci riconobbe subito, e disse, uscendo – con la sua solita contorsione: – Come state, signor Copperfield?

Come state, signor Traddles?

Quel saluto suscitò il generale stupore della compagnia, forse anzi l’ammirazione per l’assoluta assenza di superbia nel prigioniero, che si degnava di accorgersi delle nostre persone.

– Bene, Ventisette – disse il signor Creakle, guardandolo pietosamente. – Come state oggi?

– Io sono molto umile, signore – rispose Uriah Heep.

– Lo siete sempre stato, Ventisette – disse il signor Creakle.

A questo punto, un altro signore chiese, con grande ansia:

– Vi manca qualche cosa?

– No, grazie, signore – disse Uriah Heep, volgendosi al signore. – Sto molto meglio qui che non m’avvenisse mai fuori. Ora compiango le mie pazzie. E questo è ciò che mi fa star meglio.

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Parecchi signori si mostrarono commossi, e un altro, dando un passo innanzi, fece una terza domanda con molto sentimento.

– Come avete trovato il manzo?

– Grazie, signore – rispose Uriah, dando un’occhiata verso colui che lo interrogava: – era un po’ più duro di quello di ieri; ma è mio dovere di non lagnarmene. Ho commesso delle pazzie, signori – disse Uriah, dando uno sguardo in giro con un mite sorriso – e debbo sopportarne le conseguenze senza borbottare.

Si levò un mormorìo, in parte di compiacimento per la celestiale condizione di spirito del Ventisette, e in parte d’indignazione contro il fornitore dei viveri che gli dava tante cagioni di lagnanza. E mentre il signor Creakle prendeva subito nota del fatto, il Ventisette se ne stava in mezzo a noi come se si sentisse il principale oggetto di merito in un gran museo di alti benefattori. E perché noi, neofiti, potessimo godere d’una grande abbondanza di luce tenuta accesa in una volta sola, fu ordinato di lasciare uscire il numero Ventotto.

Ero rimasto già tanto sorpreso, che provai solo una specie di meraviglia rassegnata, quando vidi venire innanzi Littimer, con un buon libro in mano.

– Ventotto – disse un signore con gli occhiali, che non aveva ancora aperto bocca – la scorsa settimana vi siete lamentato del cacao. È stato poi migliore?

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– Grazie, signore – disse Littimer – è stato molto migliore. Ma se mi posso prender la libertà di dirlo, signore, non credo che il latte col quale vien bollito sia puro...

ma so che il latte a Londra va sempre soggetto a manipolazioni, e che è molto difficile averlo genuino.

Mi parve che il signore con gli occhiali favorisse il suo numero Ventotto contro il Ventisette del signor Creakle, perché ciascuno di loro si prese in mano una mano.

– Qual è la vostra condizione di spirito, Ventotto? – disse il signore dagli occhiali.

– Grazie, signore – rispose Littimer – ora comprendo le mie follie. Mi turba molto pensare ai peccati dei miei primi compagni; ma confido che questi possano essere perdonati.

– E voi, vi sentite contento? – disse il signore, con un cenno d’incoraggiamento.

– Ve ne sono riconoscente, signore – rispose Littimer. –

Perfettamente contento.

– Se avete da dir qualche cosa – disse il signore dagli occhiali – ditelo, Ventotto.

– Signore – disse Littimer, senza levar gli occhi – se la vista non m’ha ingannato, v’è un signore fra voi che mi ha conosciuto nel corso della mia vita passata. A quel signore può esser di giovamento sapere che attribuisco le mie trascorse follie esclusivamente al fatto d’aver vissu-1517

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to una vita spensierata al servizio dei giovani; e d’essermi lasciato trascinare da loro a debolezze alle quali non avevo la forza di resistere. Spero che quel signore starà più attento, ora, e non si offenderà della libertà che mi son preso. L’ho fatto per suo bene. Le follie del mio passato le so; spero ch’egli possa pentirsi di tutte le malvagità e i peccati ai quali ha preso parte.

Osservai che parecchi della compagnia visitatrice si coprivano gli occhi con una mano, come se fossero entrati in chiesa.

– Questi sentimenti vi onorano, Ventotto – rispose il signore che l’aveva interrogato. – Da voi non m’aspettavo nulla di diverso. V’è qualche altra cosa?

– Signore – rispose Littimer, sollevando leggermente le ciglia, ma non gli occhi – v’era una giovinetta che si era data a una vita dissoluta. Io mi sforzai di salvarla, ma non ci riuscii. Prego quel signore, se gli sarà possibile, d’informare in mio nome quella giovane che le perdono la sua cattiva condotta verso di me; e che la invito a pentirsi... se egli vorrà farmi questa cortesia.

– Non ho alcun dubbio, Ventotto – rispose il signore che lo interrogava – che il signore al quale alludete sia perfettamente persuaso... come siamo tutti... di ciò che avete così opportunamente detto. Non vi tratteniamo più.

– Grazie, signore – disse Littimer. – Signori, vi do il buon giorno, e vi auguro che anche voi e le vostre fami-1518

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glie vediate i vostri peccati per emendarvene!

Così dicendo, il numero Ventotto si ritirò, dopo aver scambiato un’occhiata con Uriah, come se non fossero assolutamente sconosciuti l’uno all’altro e avessero qualche mezzo di comunicazione; e quando la porta si richiuse dietro di lui, si bisbigliò nel gruppo ch’egli era un uomo rispettabilissimo e un bel caso di studio.

– Ora, Ventisette – disse il signor Creakle, entrando decisamente in iscena col suo campione – v’è qualche cosa che qualcuno possa fare per voi? Se sì, ditelo.

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