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– Hai una moglie d’oro, mio caro Traddles – dissi, quando ella se ne fu andata tutta sorridente.

– Mio caro Copperfield – rispose Traddles – essa è, senza alcun dubbio, la più cara ragazza del mondo. Se tu sapessi con che abilità governa la casa; la sua puntualità, la sua economia, l’ordine; e la sua allegria, Copperfield.

– Davvero che hai ragione di lodarla! – risposi. – Tu sei un uomo felice. E credo che fra tutti e due siate le due più felici persone del mondo.

– Certo che noi siamo le due più felici persone del mondo – rispose Traddles: – non si può negare. Dio la benedica: quando la vedo levarsi col lume in queste mattine buie, e affaccendarsi nei preparativi del giorno, e andar fuori al mercato prima che gl’impiegati vengano all’Inn, senza curarsi delle intemperie, e ammannirmi dei magnifici desinaretti coi cibi più semplici, e tenere tutto a 1506

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posto, e darsi d’attorno sempre linda ed elegante, e rimaner su sino a tardi con me, se io rimango in piedi sino a tardi, e star sempre di buon umore, sempre pronta a in-coraggiarmi, disposta a tutto per me, a volte mi par che positivamente non ci possa credere, Copperfield.

Egli la guardava con tenerezza mentre ella gli infilava le pantofole scaldate al fuoco, e poi stese i piedi gioiosamente sull’alare.

– A volte mi par che positivamente non ci possa credere

– disse Traddles. – E poi, i nostri divertimenti! Non co-stano nulla, ma sono meravigliosi. Quando siamo a casa la sera, e chiudiamo la porta di fuori, e abbassiamo quelle cortine... che sono state fatte da lei... dove potremmo star meglio? Quando fa bel tempo, e usciamo per una passeggiatina la sera, le vie abbondano di piaceri per noi. Guardiamo le vetrine scintillanti delle botteghe dei gioiellieri, e io indico a Sofia quale dei serpenti dagli occhi di diamanti, attorti negli astucci di raso bianco, le regalerei, se mi fosse possibile comprarlo; e Sofia mi indica quale mi regalerebbe lei, se potesse, di quei begli orologi d’oro a cilindro e a scappamento orizzontale, e tante altre cose; e scegliamo i coltelli e le forchette, e i coltelli da pesce, i coltelli per il burro e le mollette per lo zucchero, che ci piacerebbe di comprare; e andiamo via come se avessimo veramente acquistato tutto. Poi, giriamo per le piazze e per le vie più larghe ed eleganti, e, imbattendoci in una casa che si appigiona, qualche 1507

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volta saliamo su a visitarla, per vedere se andrebbe bene per me, se fossi già giudice. E facciamo la distribuzione... questa camera per noi, quelle camere per le ragazze, e così via, finché non stabiliamo che ci converrebbe o no, secondo i casi. A volte andiamo con dei biglietti a metà prezzo nella platea d’un teatro – lo stesso odore del quale, per quello che si spende, è a buon mercato, a mio parere, e ci divertiamo immensamente. Sofia crede a tutto ciò che vede e sente, come faccio io, del resto.

Nel tornare a casa, compriamo un cartoccio di qualche cosa da un rosticciere, o una piccola aragosta dal riven-ditore di pesce, e ce la portiamo qui, e ceniamo splendidamente, parlando di ciò che abbiamo veduto. Ora, sai, se io fossi il Lord Cancelliere, questo non lo potrei fare!

«Tu faresti sempre qualche cosa di piacevole e amabile in qualunque condizione, mio caro Traddles» – dissi fra me e me. – E a proposito – dissi ad alta voce – immagino che tu abbia smesso di fare quei tuoi disegni di scheletri, ora.

– Veramente – rispose Traddles, ridendo e arrossendo –

non posso negarti che li faccio ancora. L’altro giorno, stando in una delle ultime file di King’s Bench, con la penna in mano, mi venne il ghiribizzo di vedere se avessi ancora l’abilità d’una volta. E credo che vi sia uno scheletro... in parrucca... sull’orlo del tavolino.

Scoppiammo entrambi in una risata cordiale: Traddles si voltò con un sorriso al fuoco, e disse, nel solito 1508

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suo tono di bontà e di perdono:

– Ti ricordi di Creakle!

– Ho ricevuto una lettera da quel... briccone – dissi, perché non mi sentivo mai meno disposto a perdonargli il modo con cui soleva castigare Traddles, che quando vedevo Traddles così disposto a perdonargli.

– Da Creakle il direttore del convitto? – esclamò Traddles. – Davvero?

– Fra le persone attratte dalla mia fama crescente e dalla mia fortuna – io dissi, guardando di fra un mucchio di lettere – e che scoprono d’avermi voluto sempre bene, c’è Creakle, proprio lui in persona. Egli non è più direttore di convitto, Traddles. S’è ritirato. È un magistrato della contea di Middlesex.

Pensavo che Traddles se ne sarebbe meravigliato, ma non fu così.

– E come va – gli chiesi allora io – che è potuto diventare magistrato di Middlesex?

– Oh, mio caro! – rispose Traddles. – È una domanda alla quale è difficile rispondere. Forse ha votato per qualcuno, o prestato denaro a qualcuno, o comprato qualche cosa da qualcuno, oppure reso un servigio a qualcuno, o lavorato per qualcuno che conosceva qualcuno che ha ottenuto dal luogotenente della contea di metterlo nella Commissione.

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– Ad ogni modo nella Commissione c’è – dissi. – Ed egli mi scrive che sarà lieto di farmi vedere in atto il solo vero sistema di disciplina delle prigioni; il solo mezzo infallibile per operare delle conversioni sincere, che poi, come sai, sarebbe il sistema cellulare. Che ne pensi?

– Del sistema? – chiese Traddles, con aria grave.

– No; ma se credi che io debba accettare l’invito, e se tu verrai con me.

– Io non ho nulla in contrario – disse Traddles.

– Allora scriverò in questo senso. Certo che rammenti (non parlo di come trattava noi) che Creakle cacciò di casa suo figlio, e ricordi la vita che faceva condurre a sua moglie e a sua figlia?

– Perfettamente – disse Traddles.

– Ebbene, se leggi la sua lettera, vedrai che è tutto tenerezza, il più pietoso degli uomini verso i prigionieri condannati per ogni specie di reati – dissi – ma non veggo che la sua tenerezza si estenda a qualche altra classe di esseri viventi.

Traddles scrollò le spalle, senza mostrare il minimo segno di sorpresa. Non ero sorpreso neppur io. Avevo già visto troppe volte simili parodie in azione. Fissam-mo il giorno della nostra visita, e scrissi la sera stessa al signor Creakle.

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Nel giorno fissato – credo che fosse il giorno dopo, ma non monta – Traddles e io ci recammo alla prigione dove s’affermava la potenza del signor Creakle. Era un immenso e solido edificio, costruito senza risparmio di spese. Non potei fare a meno dal pensare, mentre ci avvicinavamo al cancello, al pandemonio che avrebbe suscitato nel paese quel povero ingenuo che avesse proposto di spendere metà della somma occorsa per quella costruzione, nell’erezione d’una scuola industriale per i giovani o un asilo di riposo per i vecchi meritevoli di aiuto.

Fummo condotti in una sala che sarebbe potuta stare, tanto era solidamente costruita, a pianterreno della torre di Babele; e fummo presentati al nostro vecchio direttore; che era uno del gruppo lì presente, composto di due o tre della stessa specie d’instancabili magistrati e di alcuni visitatori al loro seguito. Egli mi ricevette con la persuasione d’essere stato lui a formarmi lo spirito a scuola, e d’avermi sempre teneramente amato. Quando gli presentai Traddles, il signor Creakle dichiarò nella stessa maniera, ma con minor enfasi, d’essere stato la guida, il mentore, l’amico di Traddles. Il nostro venerabile istruttore era molto più vecchio, e molto più brutto d’una volta. Il suo viso appariva più repulsivo, con quegli occhi minuscoli, ancora più incassati nelle orbite.

Quei suoi pochi capelli grigi, che non avevo dimenticato mai, erano spariti quasi tutti; e le grosse vene sulla testa calva non aumentavano la piacevolezza del suo 1511

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aspetto.

Dopo un po’ di conversazione con quei signori, nella quale si sarebbe voluto farmi credere che a questo mondo non ci fosse di meglio che sforzarsi anima e corpo, ad ogni costo, al supremo benessere dei prigionieri, e null’altro da fare sulla vasta terra fuori dei cancelli delle prigioni, cominciammo la nostra ispezione. Era l’ora del desinare e fummo condotti prima nella gran cucina, dove in quell’atto, con la precisione e regolarità d’un meccanismo, si metteva da parte il pasto da passare poi nella cella d’ogni singolo prigioniero. Osservai sottovoce a Traddles che, a quanto pareva, nessuno pensava allo stridente contrasto di quei desinari abbondanti e di ottima qualità con quelli, non dei poveri, no, ma dei soldati, dei marinai, dei lavoratori, della gran massa della comunità onesta e lavoratrice; nella quale non uno su cinquecento desinava così bene. Ma appresi che il «sistema» esigeva un cibo abbondante; e in breve, per finirla col sistema una volta per tutte, trovai che per quel capo e per tutti gli altri, esso risolveva ogni dubbio e troncava ogni difficoltà. Nessuno dubitava minimamente che vi potesse esistere un altro sistema degno di considerazione diverso da quello.

Mentre traversavamo un magnifico corridoio, chiesi al signor Creakle e ai suoi amici quali fossero i principali vantaggi di quell’onnipotente, infallibile sistema. E

appresi che erano il perfetto isolamento dei prigionieri –

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così che nessuno colà confinato veniva mai a saper nulla dell’altro – e la riduzione dei prigionieri a una sana condizione mentale, a un pentimento e a una contrizione sinceri.

Dopo aver visitato alcuni individui nelle loro celle e avere attraversato i corridoi sui quali s’aprivano le celle; dopo aver sentito la spiegazione della maniera d’andare alla cappella, e così di seguito, mi parve probabilissimo che i prigionieri sapessero l’un dell’altro più di quanto si credeva, e che avessero certamente trovato qualche sistema di corrispondere insieme. Questo, nel momento che scrivo, è già stato provato, ma siccome sarebbe stato un perfetto blasfema contro il sistema accennare allora a un dubbio simile, mi limitai a cercare, come meglio potei, le tracce del pentimento e della contrizione sinceri.

E qui di nuovo, m’assalsero dei dubbi. Trovai che pre-valeva certa moda di pentimento che rassomigliava stranamente agli abiti e alle sottovesti nelle mostre dei sarti.

Are sens