– Ma... – gli risposi, con qualche esitazione – forse un po’...
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– Precisamente! – esclamò il signor Dick, che sembrò andare in visibilio per la mia risposta. – La ragione è perché quando trassero un po’ dello scompiglio dalla testa di... tu sai chi voglio dire... e lo misero dove tu sai, vi fu un... – Il signor Dick fece girare velocissimamente le mani l’una intorno all’altra un gran numero di volte, e poi le batté l’una contro l’altra, e le rotolò l’una sull’altra, per esprimere una gran confusione. – Ecco ciò che mi fu fatto, ecco!
Gli feci un cenno di assenso, ch’egli ripeté.
– Insomma, figlio mio – disse il signor Dick, abbassando la voce al tono d’un bisbiglio – io sono sciocco.
Avevo in animo di attenuare quella conclusione, ma egli mi fermò.
– Sì, sono sciocco. Ella dice di no, e non vuole che io lo dica; ma io sono sciocco, e so di esserlo. Se non l’avessi avuta per amica, Trot, da anni sarei stato rinchiuso, e avrei condotto una vita tristissima. Ma non le sarò sco-noscente. Non spendo mai il denaro che guadagno facendo il copista. Lo metto in un salvadanaio. Già ho fatto testamento, e lascerò tutto a lei. Ella sarà ricca... e vivrà nobilmente.
Il signor Dick trasse di tasca il fazzoletto, e si asciugò gli occhi. Poi lo piegò con gran cura, lo lisciò fra le dita, se lo rimise in tasca, e sembrò che nello stesso istante mettesse da parte mia zia.
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– Tu sei istruito, Trotwood – disse il signor Dick. – Tu sei molto istruito. E sai che uomo dotto, che grand’uo-mo è il dottore. Sai l’onore ch’egli m’ha sempre fatto.
La sua scienza non l’ha fatto superbo. Egli è umile, umile... modesto anche col povero Dick, che è sciocco, e non sa nulla. Io ho fatto salire il suo nome, su un pezzo di carta lungo la corda dell’aquilone, ed è arrivato in cielo fra le allodole. L’aquilone è stato lieto di riceverlo, ed il cielo ne è stato più lucente.
Lo feci estasiare, dicendogli, con la maggiore cordialità, che il dottore meritava il più gran rispetto e la più alta stima.
– E la sua bella moglie è una stella – disse il signor Dick
– una fulgida stella. Io l’ho veduta in tutto il suo splendore, Trot. Ma – e in quell’atto avvicinò la sua sedia alla mia, e mi mise una mano sulle ginocchia – vi sono delle nuvole, Trot... vi sono delle nuvole.
Risposi alla sollecitudine espressa dal suo viso dando la stessa espressione al mio, e scotendo il capo.
– Quali nuvole? – disse il signor Dick.
Mi guardava con aria così inquieta, e mi pareva così desideroso di comprendere di che nuvole si trattasse, che mi sforzai di rispondergli pianamente e chiaramente, come cercando di spiegare qualche cosa a un bambino.
– Ve fra loro qualche disgraziata ragione di divisione –
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risposi. – Qualche infelice motivo di separazione. È un segreto. Può essere una conseguenza inevitabile della differenza della loro età. Può anche derivare da qualche inezia.
Il signor Dick, che seguiva ciascuna frase con un cenno pensoso, s’arrestò quand’ebbi finitole rimase meditabondo con gli occhi fissi su di me e una mano sulle mie ginocchia.
– Il dottore non è in collera con lei, Trotwood? – egli disse dopo qualche minuto.
– No. Le è teneramente devoto.
– Allora, ho compreso, figlio mio – disse il signor Dick. .
L’aria di esultanza con la quale egli mi batté le ginocchia e s’appoggiò alla spalliera della sedia, con le ciglia levate più alte che gli fu possibile, me lo fece giudicare più matto che mai. A un tratto si fece di nuovo grave, e sporgendosi innanzi come prima, disse – avendo cura prima di cavar di tasca il fazzoletto, come se veramente rappresentasse mia zia:
– La donna più meravigliosa del mondo, Trotwood. Perché essa non ha fatto nulla per mettere le cose a posto?
– È un argomento troppo difficile e delicata per potervi-si mischiare – risposi.
– E tu che sei tanto istruito – disse il signor Dick, toc-1165
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candomi con l’indice – perché non hai fatto nulla?
– Per la stessa ragione – risposi.
– Allora ho compreso, figlio mio! – disse il signor Dick.
E si eresse innanzi a me più esultante di prima, scotendo il capo, e battendosi ripetutamente il petto, tanto da far credere che si stesse cacciando tutto il fiato di corpo.
– Un povero scervellato, Trot – disse il signor Dick –
un grullo, uno sciocco... parlo di me, sai! – e si batteva di nuovo – può far ciò che i savi non possono. Io li ri-concilierò, figlio mio. Mi proverò. E non potranno biasi-marmi, non mi diranno indiscreto. Io non sono che Dick. Chi si cura di Dick? Dick non è nessuno. Fffu! –
E fece una soffiatina in proprio dispregio, come per dileguarsi con essa.
Fortuna che si fosse spinto tanto col suo mistero, perché sentimmo la vettura, che riportava a casa mia zia e Dora, fermarsi al cancello del giardino.