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– Cara, che cosa?

Ella mi mise una mano sulla spalla, e mi guardò tranquillamente in viso:

– Sai di che si tratta.

– Non oso pensarvi. Dimmi, cara.

– Ti ho amato sempre.

Oh, noi eravamo felici, felici! Non piangevamo più dei nostri affanni (i suoi molto più gravi), scaturigine della nostra odierna felicità, ma per la felicità di esser uniti e non separarci mai più.

Andammo quella sera d’inverno a passeggiare insieme per i campi; e alla beata calma ch’era in noi sembrava partecipasse la gelida aria. Le prime stelle cominciavano a brillare, e noi con gli occhi fissi al cielo, ringraziava-mo Iddio per averci guidati a quella felicità.

1536

Charles Dickens David Copperfield

La sera alla finestra contemplammo insieme la candida luna: Agnese levava i suoi occhi calmi, e io seguivo il suo sguardo. Lunghe miglia di strada s’aprivano innanzi al mio spirito; e, in fondo, vedevo un ragazzo lacero, abbandonato e negletto, che sarebbe arrivato a invocare quel cuore, che ora batteva contro il mio, e chiamarlo suo.

Era quasi l’ora del desinare, il giorno dopo, quando apparimmo innanzi a mia zia. Peggotty ci aveva detto che era nello studio: ella era orgogliosa di tenermelo sempre in ordine. La trovammo, con gli occhiali sul naso, seduta accanto al fuoco.

– Buon Dio! – disse mia zia, vedendo a fatica fra la penombra – chi mi conduci a casa?

– Agnese – dissi.

Siccome avevamo deliberato di non dir nulla in principio, mia zia rimase alquanto delusa. M’aveva dato un’occhiata piena di speranza, quando le avevo risposto:

«Agnese»; ma vedendo che avevo la solita aria, si tolse disperata gli occhiali, e se ne stropicciò il naso.

Pure, salutò Agnese cordialmente; e tosto discendemmo nella luminosa saletta da pranzo per desinare. Mia zia si mise gli occhiali due o tre volte, per darmi un’altra sbirciatina, ma se li tolse sempre, delusa, e se ne stropicciò il naso: con gran dispiacere del signor Dick, che sapeva che quello era un cattivo sintomo.

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Charles Dickens David Copperfield

– A proposito, zia – dissi, dopo il desinare – ho parlato con Agnese di ciò che m’avete detto.

– Allora, Trot – disse mia zia, diventando rossa – hai fatto male, non mantenendo la tua promessa.

– Non mi rimprovererete, spero, quando vi dirò che Agnese non ha nessuna passione che la renda infelice.

– Che discorsi! – disse mia zia. Siccome essa pareva seccata, pensai che la miglior cosa fosse di metter fine al suo malumore.

Condussi Agnese a braccetto dietro la poltrona di mia zia, e ci chinammo entrambi su di lei. Ella ci guardò, giunse le mani, e per la prima e l’ultima volta in vita sua ebbe un mezzo svenimento.

Quel mezzo svenimento fece accorrere Peggotty. Nello stesso istante che si rimise, mia zia si volse a Peggotty e chiamandola sciocca, l’abbracciò con tutta la sua forza.

Poi abbracciò il signor Dick (che se ne sentì altamente onorato, ma si mostrò molto sorpreso); e poi gliene disse la ragione. Allora fummo tutti quanti felici.

Non ho mai potuto scoprire se mia zia, nella sua breve ultima conversazione con me, si fosse permessa una pia frode, o si fosse realmente ingannata sulle condizioni del mio spirito. Tutto ciò che m’aveva detto – mi ripeté

– era che Agnese stava per maritarsi, e infatti, come sapevo meglio di qualunque altro, la cosa era verissima.

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Charles Dickens David Copperfield

Quindici giorni dopo eravamo sposi. Traddles e Sofia, il dottore e la signora Strong furono i soli invitati alla nostra pacifica unione. Li lasciammo pieni di gioia, e salimmo entrambi in vettura. Stretta nelle mie braccia, tenevo quella che era stata la sorgente di tutte le mie più degne aspirazioni, il centro della mia anima, il circolo della mia vita... mia moglie! E il mio amore per lei era come fondato su una roccia.

– Diletto marito! – disse Agnese. – Ora che io ti chiamo con questo nome, ho un’altra cosa da dirti.

– Sentiamo, amore.

– È un ricordo della notte in cui Dora morì. T’aveva pregato di farmi andare da lei?

– Sì.

– Mi disse che mi lasciava qualche cosa. Immagini che fosse?

Io credevo d’immaginarlo. Mi strinsi più da presso a quella che avevo lungamente amato.

– Mi disse che mi faceva un’ultima preghiera, e che mi lasciava un ultimo incarico.

– Ed era...

– Che solo io dovevo occupare questo posto vuoto.

E Agnese si chinò sul mio petto e pianse; e io piansi con lei, benché fossimo così felici.

1539

Charles Dickens David Copperfield

LXIII.

UN VISITATORE

Ciò che mi son proposto di scrivere è quasi finito; ma vi è ancora una vicenda che ricordo con grandissimo piacere, e senza la quale un filo nella tela che ho intessuta rimarrebbe fuor della trama.

Ero andato un bel tratto innanzi in celebrità e fortuna, la mia gioia domestica era perfetta, ed eran dieci anni che ero ammogliato. Agnese e io eravamo seduti accanto al fuoco, nella nostra casa di Londra, una sera di primavera, e tre dei nostri bambini si trastullavano nella stanza, quando mi si annunziò che uno straniero voleva parlarmi.

Gli era stato domandato se si trattasse di affari, ma aveva risposto di no. Era venuto per il piacere di vedermi, e aveva fatto un lungo viaggio. Era vecchio – mi disse il domestico – e aveva l’aria d’un contadino.

Questa notizia suscitò qualche commozione fra i bambini, perché aveva qualcosa di misterioso e somigliava al principio di una fiaba, narrata spesso da Agnese: una vecchia strega, che odiava tutti, arrivava avviluppata in un mantello. Uno dei nostri piccini nascose la testa nel 1540

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seno di sua madre per essere al sicuro da ogni pericolo, e la piccola Agnese (la maggiore dei nostri figli) lasciò la bambola su una sedia a rappresentarla, e portò dietro le tende della finestra il mucchietto dei suoi riccioli d’o-ro, per assistere agli avvenimenti.

Are sens