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Una volta io e il Teschio eravamo saliti sulla macchina di Felice. Facevamo che la 127 era un'astronave. Lui guidava e io sparavo ai marziani. Felice ci aveva beccati e ci aveva tirati fuori, in mezzo alla strada, trascinandoci per le orecchie, come conigli. Piangevamo disperati ma lui non mollava. Per fortuna che mamma era uscita e lo aveva caricato di mazzate.

Avrei voluto lasciare tutto così, correre a casa e chiudermi in camera mia a leggere i giornalini, ma sono tornato indietro, maledicendomi. Le nuvole se n'erano andate e si schiattava di caldo. Mi sono tolto la maglietta e me la so-no annodata in testa, come un indiano. Ho preso una mazza. Se avessi incon-trato Felice mi sarei difeso.

Ho cercato di avvicinarmi il meno possibile al buco, ma non ho potuto fare a meno di guardare.

Era in ginocchio sotto la coperta con il braccio teso, nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato.

Mi è venuta voglia di saltare su quella maledetta lastra e spaccarla in mille pezzi e invece l'ho spinta e ci ho coperto il buco.

Quando sono arrivato mamma lavava i piatti.

Ha buttato la padella nel lavandino. "Guarda un po' chi è tornato!

Era così arrabbiata che le tremava la mascella.

"Si può sapere dove te ne vai? Mi hai fatto morire di paura... Tuo padre l'altro giorno non te le ha date. Ma questa volta le prendi.

Non ho avuto nemmeno il tempo di tirare fuori una scusa che lei ha cominciato a rincorrermi.

Saltavo da una parte all'altra della cucina come una capra mentre mia sorella, seduta al tavolo, mi guardava scuotendo la testa.

"Dove scappi? Vieni qua!

Sono zompato oltre il divano, sono passato sotto il tavolo, ho scavalcato la poltrona, sono scivolato sul pavimento fino in camera mia e mi sono nascosto sotto il letto.

"Esci fuori!

"No. Tu mi picchi!

"Sì che ti picchio. Se esci da solo ne prendi di meno.

"No, non esco!

"Va bene.

Una morsa si è chiusa sulla caviglia. Mi sono attaccato alla zampa del letto con tutte e due le mani, ma non c'è stato niente da fare. Mamma era più forte di Maciste e quella maledetta zampa di ferro mi scivolava fra le dita. Ho mollato la presa e mi sono ritrovato tra le sue gambe. Ho provato a infilarmi di nuovo sotto il letto, ma non mi ha dato scampo, mi ha tirato su per i pantaloni e mi ha messo sotto il braccio come fossi una valigia. Strillavo. "Lasciami! Ti prego! Lasciami!

Si è seduta sul divano, mi ha steso sulle ginocchia, mi ha abbassato i pantaloni e le mutande mentre belavo come un agnello, si è buttata indietro i capelli e ha cominciato a farmi le chiappe rosse.

Mamma ha sempre avuto le mani pesanti. I suoi sculaccioni erano lenti e precisi e facevano un rumore sordo, come un battipanni sul tappeto.

"Ti ho cercato dappertutto". E uno. "Nessuno sapeva niente". E due. "Mi fa-rai morire.

Dove vai tutto il giorno?" E tre. "Avranno pensato che sono una madre che non vale niente". E quattro. "Che non sono buona a educare i figli.

"Basta!" urlavo io. "Basta! Ti prego, ti prego, mamma!

Alla radio una voce cantava. «Croce. Croce e delizia. Delizia al cor».

Me lo ricordo come fosse ieri. Per tutta la vita, quando ho ascoltato la Tra-viata, mi sono rivisto con il sedere all'aria, sulle gambe di mia madre che, seduta composta sul divano, mi gonfiava di botte.

"Che facciamo?" mi ha chiesto Salvatore.

Eravamo seduti sulla panchina e tiravamo i sassi contro uno scaldabagno buttato nel grano. Chi lo colpiva faceva punto. Gli altri, in fondo alla strada, giocavano a nascondino.

La giornata era stata ventosa, ma ora, al crepuscolo, l'aria si era fermata, c'era afa, e dietro i campi si era appoggiata una striscia di nuvole livide e stanche.

Ho lanciato troppo lontano. "Non lo so. In bicicletta non ci posso andare, mi fa male il culo. Mia madre mi ha picchiato.

"Perché?

"Perché torno tardi a casa. A te, tua madre ti picchia?

Salvatore ha lanciato e ha colpito lo scaldabagno con un bel toc. "Punto!

Tre a uno". Poi ha scosso la testa. "No. Non ce la fa. E' troppo grossa.

"Beato te. Mia madre invece è fortissima e può correre più veloce di una bicicletta.

Si è messo a ridere. "Impossibile.

Ho raccolto un sasso più piccolo e l'ho scagliato.

A questo giro l'ho quasi preso. "Te lo giuro. Una volta, a Lucignano, dovevamo prendere il pullman.

Quando siamo arrivati era appena partito. Mamma si è messa a correre così veloce che l'ha raggiunto e ha cominciato a dare pugni sulla porta. Si sono fermati.

"Mia madre se si mette a correre muore.

"Senti," ho detto. "Ti ricordi quando la signorina Destani ci ha raccontato la storia del miracolo di Lazzaro?

"Sì.

"Secondo te quando è risorto, Lazzaro sapeva di essere morto?

Salvatore ci ha pensato su. "No. Secondo me pensava di essersi ammalato.

"Ma come faceva a camminare? Il corpo dei morti è tutto duro. Ti ricordi quel gatto che abbiamo trovato com'era duro.

"Quale gatto?" ha tirato e ha preso lo scaldabagno di nuovo. Aveva una mi-ra infallibile.

"Il gatto nero, vicino al torrente... Ti ricordi?

"Sì, mi ricordo. Il Teschio lo ha spezzato in due.

"Se uno è morto e si risveglia, non cammina proprio normale e diventa pazzo perché gli è marcito il cervello e dice cose strane, non credi?

"Penso di sì.

Are sens