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"Secondo te si può rianimare un morto o solo Gesù Cristo in persona ci può riuscire?

Salvatore si è grattato la testa. "Non lo so. Mia zia mi ha raccontato una storia vera. Che una volta il figlio di uno è stato investito da una macchina ed è morto tutto maciullato. Il padre non riusciva più a vivere, stava male, piangeva tutto il giorno, è andato da un mago e gli ha dato tutti i soldi per resu-scitargli il figlio. Il mago ha detto: «Vai a casa e aspetta. Tuo figlio tornerà stanotte».

Il padre si è messo ad aspettare, ma quello non tornava, alla fine se n'è andato a letto. Si stava addormentando quando ha sentito dei passi in cucina.

Si è alzato tutto felice e ha visto il figlio, era tutto maciullato e non aveva un braccio e aveva la testa spaccata, con il cervello che gli colava e diceva che lo odiava perché lo aveva lasciato in mezzo alla strada per andare con le donne ed era colpa sua se era morto.

"E allora?

"E allora il padre ha preso la benzina e gli ha dato fuoco.

"Ha fatto bene". Ho lanciato e finalmente ho fatto centro. "Punto! Quattro a due.

Salvatore si è piegato a cercare un sasso. "Ha fatto bene, sì.

"Ma secondo te è una storia vera?

"No.

"Anche secondo me.

Mi sono svegliato perché mi scappava la pipì.

Mio padre era tornato. Ho sentito la sua voce in cucina.

C'era gente. Discutevano, si interrompevano, si insultavano. Papà era molto arrabbiato.

Quella sera eravamo andati a dormire subito dopo cena.

Avevo ronzato intorno a mamma come una falena, per fare pace. Mi ero messo addirittura a pelare le patate, ma mi aveva tenuto il muso tutto il pomeriggio. A cena ci aveva sbattuto i piatti davanti e noi avevamo mangiato in silenzio, mentre lei girava per la cucina e guardava la strada.

Mia sorella dormiva. Mi sono inginocchiato sul letto e mi sono affacciato alla finestra.

Il camion era posteggiato accanto a una grande macchina scura con il mu-so argentato. Una macchina per ricchi.

Mi scappava, ma per raggiungere il bagno dovevo passare dalla cucina. Con tutte quelle persone mi vergognavo, però me la stavo facendo addosso.

Mi sono alzato e mi sono avvicinato alla porta.

Ho afferrato la maniglia. Ho contato. "Uno, due, tre... Quattro, cinque e sei". E ho aperto.

Erano seduti a tavola.

Italo Natale, il padre del Teschio. Pietro Mura, il barbiere. Angela Mura. Felice. Papà. E un vecchio che non avevo mai visto. Doveva essere Sergio, l'amico di papà."

Fumavano. Avevano le facce rosse e stanche e gli occhi piccoli piccoli.

Il tavolo era coperto di bottiglie vuote, ceneriere piene di mozziconi, pac-chetti di Nazionali e Milde Sorte, briciole di pane. Il ventilatore girava, ma non serviva a niente. Si moriva di caldo. Il televisore era acceso, senza il volume.

C'era odore di pomodoro, sudore e zampirone.

Mamma preparava il caffè.

Ho guardato il vecchio che tirava fuori una sigaretta da un pacchetto di Dunhill.

Ho saputo poi che si chiamava Sergio Materia.

All'epoca aveva sessantasette anni e veniva da Roma, dove era diventato famoso, vent'anni prima, per una rapina in una pellicceria di Monte Mario e un colpo alla sede centrale della Banca dell'Agricoltura. Una settimana dopo la rapina si era comprato una rosticceria-tavola calda in piazza Bologna. Voleva riciclare il denaro, ma i carabinieri lo avevano incastrato proprio il giorno dell'inaugurazione. Si era fatto parecchia galera, per buona condotta era tornato in libertà ed era emigrato in Sud America.

Sergio Materia era magro. Con la testa pelata.

Sopra le orecchie gli crescevano dei capelli giallastri e radi che teneva rac-colti in una coda. Aveva il naso lungo, gli occhi infossati e la barba, bianca, di almeno un paio di giorni, gli macchiava le guance incavate. Le sopracciglia lunghe e biondicce sembravano ciuffi di peli incollati sulla fronte. Il collo era grinzoso, a chiazze, come se glielo avessero sbiancato con la candeggina. Indossava un completo azzurro e una camicia di seta marrone. Un paio di occhiali d'oro gli poggiavano sulla pelata lucida. E una catena d'oro con un sole spuntava fra i peli del petto. Al polso portava un orologio d'oro massiccio.

Era furibondo. "Fin dall'inizio avete fatto uno sbaglio dietro l'altro". Parlava strano. "E questo qua è un coglione... "Ha indicato Felice. Lo guardava con la faccia con cui si guarda uno stronzo di cane. Ha preso uno stecchino e ha cominciato a pulirsi i denti gialli.

Felice era piegato sulla tavola e con la forchetta faceva disegni sulla tova-glia. Era uguale preciso al fratello quando la madre lo sgridava.

Il vecchio si è grattato la gola. "Su lo avevo detto che non ci dovevamo fi-dare di voi. Non siete buoni. E' stata un'idea del cazzo. Avete fatto stronzate su stronzate. Voi state a scherzare col fuoco". Ha buttato lo stecchino nel piatto. "Sono un idiota!

Me ne sto qua a perdere tempo... Se le cose andavano come dovevano andare, a quest'ora dovevo stare in Brasile e invece sto in questo posto di merda.

Papà ha provato a ribattere. "Sergio ascolta...

Stai tranquillo... Le cose non sono ancora...

Ma il vecchio lo ha zittito. "Quali cazzo di cose? Tu devi stare zitto perché sei peggio degli altri. E lo sai perché? Perché non ti rendi conto.

Non sei capace. Tutto tranquillo, sicuro, hai infilato una cazzata dietro l'altra. Sei un imbecille.

Papà ha cercato di rispondere poi ha ingoiato il boccone e ha abbassato lo sguardo.

Lo aveva chiamato imbecille.

E' stato come se mi avessero dato una coltellata in un fianco. Nessuno aveva mai parlato così a papà. Papà era il capo di Acqua Traverse. E invece quel vecchio schifoso, arrivato da chissà dove, lo insultava davanti a tutti.

Perché papà non lo cacciava via?

Improvvisamente nessuno ha parlato più. Stavano muti, mentre il vecchio ha ricominciato a pulirsi i denti e a guardare il lampadario.

Il vecchio era come l'imperatore. Quando l'imperatore è nero tutti devono stare zitti. Papà compreso.

"Il telegiornale! Ecco il telegiornale," ha detto il padre di Barbara agitandosi sulla sedia. "Incomincia!

"Alza! Teresa, alza! E spegni la luce," ha fatto papà a mamma.

A casa mia si spegneva sempre la luce quando si guardava la televisione.

Era obbligatorio. Mamma si è precipitata sulla manopola del volume e poi sull'interruttore.

Are sens