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Antigone, Deïfile e Argia,

e Ismene sì trista come fue.

Védeisi quella che mostrò Langia; èvvi la figlia di Tiresia, e Teti, e con le suore sue Deïdamia».

261

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Tacevansi ambedue già li poeti,

di novo attenti a riguardar dintorno, liberi da saliri e da pareti;

e già le quattro ancelle eran del giorno rimase a dietro, e la quinta era al temo, drizzando pur in sù l'ardente corno, quando il mio duca: «Io credo ch'a lo stremo le destre spalle volger ne convegna, girando il monte come far solemo».

Così l'usanza fu lì nostra insegna, e prendemmo la via con men sospetto per l'assentir di quell' anima degna.

Elli givan dinanzi, e io soletto

di retro, e ascoltava i lor sermoni, ch'a poetar mi davano intelletto.

Ma tosto ruppe le dolci ragioni

un alber che trovammo in mezza strada, con pomi a odorar soavi e buoni;

e come abete in alto si digrada

di ramo in ramo, così quello in giuso, cred' io, perché persona sù non vada.

Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso, cadea de l'alta roccia un liquor chiaro e si spandeva per le foglie suso.

Li due poeti a l'alber s'appressaro; e una voce per entro le fronde

gridò: «Di questo cibo avrete caro».

Poi disse: «Più pensava Maria onde fosser le nozze orrevoli e intere, ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde.

E le Romane antiche, per lor bere, contente furon d'acqua; e Danïello 262

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

dispregiò cibo e acquistò savere.

Lo secol primo, quant' oro fu bello, fé savorose con fame le ghiande,

e nettare con sete ogne ruscello.

Mele e locuste furon le vivande

che nodriro il Batista nel diserto; per ch'elli è glorïoso e tanto grande quanto per lo Vangelio v'è aperto».

CANTO XXIII

[Canto XXIII, dove si tratta del sopradetto girone e di quella medesima colpa de la gola, e sgrida contro a le donne fiorentine; dove truova Forese de' Donati di Fiorenze col quale molto parla.]

Mentre che li occhi per la fronda verde ficcava ïo sì come far suole

chi dietro a li uccellin sua vita perde, lo più che padre mi dicea: «Figliuole, vienne oramai, ché 'l tempo che n'è imposto più utilmente compartir si vuole».

Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto, appresso i savi, che parlavan sìe, che l'andar mi facean di nullo costo.

Ed ecco piangere e cantar s'udìe

'Labïa mëa, Domine' per modo

tal, che diletto e doglia parturìe.

«O dolce padre, che è quel ch'i' odo?», 263

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

comincia' io; ed elli: «Ombre che vanno forse di lor dover solvendo il nodo».

Sì come i peregrin pensosi fanno, giugnendo per cammin gente non nota, che si volgono ad essa e non restanno, così di retro a noi, più tosto mota, venendo e trapassando ci ammirava d'anime turba tacita e devota.

Ne li occhi era ciascuna oscura e cava, palida ne la faccia, e tanto scema che da l'ossa la pelle s'informava.

Non credo che così a buccia strema Erisittone fosse fatto secco,

Are sens

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