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Primo Levi - Se questo è un uomo IL LAVORO
Prima di Resnyk, con me dormiva un polacco di cui tutti ignoravano il nome; era mite e silenzioso, aveva due vecchie piaghe alle tibie e di notte emanava un odore squallido di malattia; era anche debole di vescica, e perciò si svegliava e mi svegliava otto o dieci volte per notte.
Una sera mi ha lasciato i guanti in consegna ed è entrato in ospedale. Io ho sperato per mezz’ora che il furiere dimenticasse che ero rimasto solo occupante della mia cuccetta, ma, quando già era suonato il silenzio, la cuccetta ha tremato e un tipo lungo e rosso, con il numero dei francesi di Drancy, si è arrampicato accanto a me.
Avere un compagno di letto di statura alta è una sciagura, vuol dire perdere ore di sonno; e a me toccano proprio sempre compagni alti, perché io sono piccolo e due alti insieme non possono dormire. Ma invece si è visto subito che Resnyk, malgrado ciò, non era un cattivo compagno. Parlava poco e cortesemente, era pulito, non russava, non si alzava che due o tre volte per notte e sempre con molta delicatezza. Al mattino si è offerto di fare lui il letto (questa è una operazione complicata e penosa, e inoltre comporta una notevole responsabilità perché quelli che rifanno male il letto, gli «schlechte Bettenbauer», vengono diligentemente puniti), e lo ha fatto rapidamente e bene; in modo che ho provato un certo fugace piacere nel vedere, piú tardi in piazza dell’Appello, che è stato aggregato al mio Kommando.
Nella marcia verso il lavoro, vacillanti nei grossi zoccoli sulla neve gelata, abbiamo scambiato qualche parola, e ho saputo che Resnyk è polacco; ha vissuto vent’an-ni a Parigi, ma parla un francese incredibile. Ha trent’anni, ma, come a tutti noi, gliene potresti dare da diciassette a cinquanta. Mi ha raccontato la sua storia, e oggi l’ho dimenticata, ma era certo una storia dolorosa, Letteratura italiana Einaudi
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Primo Levi - Se questo è un uomo crudele e commovente; ché tali sono tutte le nostre storie, centinaia di migliaia di storie, tutte diverse e tutte piene di una tragica sorprendente necessità. Ce le rac-contiamo a vicenda a sera, e sono avvenute in Norvegia, in Italia, in Algeria, in Ucraina, e sono semplici e incomprensibili come le storie della Bibbia. Ma non sono an-ch’esse storie di una nuova Bibbia?
Quando siamo arrivati al cantiere, ci hanno condotti alla Eisenröhreplatz, che è la spianata dove si scaricano i tubi di ferro, e poi hanno cominciato ad avvenire le solite cose. Il Kapo ha rifatto l’appello, ha preso brevemente atto del nuovo acquisto, si è accordato col Meister civile sul lavoro di oggi. Poi ci ha affidati al Vorarbeiter e se ne è andato a dormire nella capanna degli attrezzi, vicino alla stufa; questo non è un Kapo che dia noia, perché non è ebreo e non ha paura di perdere il posto. Il Vorarbeiter ha distribuito le leve di ferro a noi e le bin-de ai suoi amici; è avvenuta la solita piccola lotta per conquistare le leve piú leggere, e oggi a me è andata ma-le, la mia è quella storta, che pesa forse quindici chili; so che, se anche la dovessi adoperare a vuoto, dopo mezz’ora sarò morto di fatica.
Poi ce ne siamo andati, ciascuno con la sua leva, zop-picando nella neve in disgelo. A ogni passo, un po’ di neve e di fango aderiscono alle nostre suole di legno, finché si cammina instabili su due pesanti ammassi informi di cui non ci si riesce a liberare; a un tratto uno si stacca, e allora è come se una gamba fosse un palmo piú corta dell’altra.
Oggi bisogna scaricare dal vagone un enorme cilindro di ghisa: credo che sia un tubo di sintesi, peserà parecchie tonnellate. Per noi è meglio cosí, perché notoriamente si fatica di meno coi grandi carichi che coi piccoli; infatti il lavoro è piú suddiviso e ci vengono concessi Letteratura italiana Einaudi
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Primo Levi - Se questo è un uomo attrezzi adeguati; però siamo in pericolo, non bisogna mai distrarsi, basta una svista di un attimo e si può essere travolti.
Mister Nogalla in persona, il capomastro polacco, rigido serio e taciturno, ha sorvegliato l’operazione di sca-rico. Ora il cilindro giace al suolo e Meister Nogalla di-ce: – Bohlen holen.
A noi si svuota il cuore. Vuol dire «portare traversine» per costruire nel fango molle la via su cui il cilindro verrà sospinto colle leve fin dentro la fabbrica. Ma le traversine sono incastrate nel terreno, e pesano ottanta chili; sono all’incirca al limite delle nostre forze. I piú robusti di noi possono, lavorando in coppia, portare traversine per qualche ora; per me è una tortura, il carico mi storpia l’osso della spalla, dopo il primo viaggio sono sordo e quasi cieco per lo sforzo, e commetterei qualunque bassezza per sottrarmi al secondo.
Proverò a mettermi in coppia con Resnyk, che pare un buon lavoratore, e inoltre, essendo di alta statura, verrà a sopportare la maggior parte del peso. So che è nell’ordine delle cose che Resnyk mi rifiuti con disprezzo, e si metta in coppia con un altro individuo robusto; e allora io chiederò di andare alla latrina, e ci starò il piú a lungo possibile, e poi cercherò di nascondermi con la certezza di essere immediatamente rintracciato, deriso e percosso; ma tutto è meglio di questo lavoro.
Invece no: Resnyk accetta, non solo, ma solleva da so-lo la traversina e me l’appoggia sulla spalla destra con precauzione; poi alza l’altra estremità, vi pone sotto la spalla sinistra e partiamo.
La traversina è incrostata di neve e di fango, a ogni passo mi batte contro l’orecchio e la neve mi scivola nel collo. Dopo una cinquantina di passi sono al limite di quanto si suole chiamare la normale sopportazione: le ginocchia si piegano, la spalla duole come stretta in una morsa, l’equilibrio è in pericolo. A ogni passo sento le Letteratura italiana Einaudi
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Primo Levi - Se questo è un uomo scarpe succhiate dal fango avido, da questo fango polacco onnipresente il cui orrore monotono riempie le nostre giornate.
Mi mordo profondamente le labbra: a noi è noto che il procurarsi un piccolo dolore estraneo serve come sti-molante per mobilitare le estreme riserve di energia. Anche i Kapos lo sanno: alcuni ci percuotono per pura bestialità e violenza, ma ve ne sono altri che ci percuotono quando siamo sotto il carico, quasi amorevolmente, ac-compagnando le percosse con esortazioni e incoraggia-menti, come fanno i carrettieri coi cavalli volenterosi.
Arrivati al cilindro, scarichiamo a terra la traversina, e io resto impalato, cogli occhi vuoti, la bocca aperta e le braccia penzoloni, immerso nella estasi effimera e nega-tiva della cessazione del dolore. In un crepuscolo di esaurimento, attendo lo spintone che mi costringerà a riprendere il lavoro, e cerco di profittare di ogni secondo dell’attesa per ricuperare qualche energia.
Ma lo spintone non viene; Resnyk mi tocca il gomito, il piú lentamente possibile ritorniamo alle traversine. Là si aggirano gli altri, a coppie, cercando tutti di indugiare quanto piú possono prima di sottoporsi al carico.
– Allons, petit, attrape –. Questa traversina è asciutta e un po’ piú leggera, ma alla fine del secondo viaggio mi presento al Vorarbeiter e chiedo di andare alla latrina.
Noi abbiamo il vantaggio che la nostra latrina è piuttosto lontana; questo ci autorizza, una volta al giorno, a una assenza un po’ piú lunga che di norma, e inoltre, poiché è proibito recarvisi da soli, ne è seguito che Wachsmann, il piú debole e maldestro del Kommando, è stato investito della carica di Scheissbegleiter, «accompagnatore alle latrine»; Wachsmann, per virtú di tale nomina, è responsabile di un nostro ipotetico (risibile ipotesi!) tentativo di fuga, e, piú realisticamente, di ogni nostro ritardo.
Poiché la mia domanda è stata accettata, me ne parto nel fango, nella neve grigia e tra i rottami metallici, scor-Letteratura italiana Einaudi
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Primo Levi - Se questo è un uomo tato dal piccolo Wachsmann. Con questo non riesco a intendermi, perché non abbiamo alcuna lingua in comune; ma i suoi compagni mi hanno detto che è rabbino, è anzi un Melamed, un dotto della Thorà, e inoltre, al suo paese, in Galizia, aveva fama di guaritore e di taumatur-go. Né sono lontano dal crederlo, pensando come, cosí esile e fragile e mite, riesca da due anni a lavorare senza ammalarsi e senza morire, acceso invece di una stupefacente vitalità di sguardo e di parola, per cui passa lunghe sere a discutere di questioni talmudiche, incom-prensibilmente, in yiddisch e in ebraico, con Mendi che è rabbino modernista.
La latrina è un’oasi di pace. È una latrina provvisoria, che i tedeschi non hanno ancora provveduto delle con-suete tramezze in legno che separano i vari scomparti-menti: «Nur für Engländer», «Nur für Polen», «Nur für Ukrainische Frauen» e cosí via, e, un po’ in disparte,
«Nur für Häftlinge». All’interno, spalla a spalla, siedono quattro Häftlinge famelici; un vecchio barbuto operaio russo con la fascia azzurra OST sul braccio sinistro; un ragazzo polacco, con una grande P bianca sulla schiena e sul petto; un prigioniero militare inglese, dal viso splendidamente rasato e roseo, con la divisa kaki nitida, stirata e pulita, a parte il grosso marchio KG (Kriegsge-fangener) sul dorso. Un quinto Häftling sta sulla porta, e ad ogni civile che entra sfilandosi la cintola, chiede paziente e monotono: – Etes-vous français?
Quando ritorno al lavoro, si vedono passare gli autocarri del rancio, il che vuol dire che sono le dieci, e questa è già un’ora rispettabile, tale che la pausa di mezzogiorno già si profila nella nebbia del futuro remoto e noi possiamo cominciare ad attingere energia dall’attesa.
Faccio con Resnyk ancora due o tre viaggi, cercando con ogni cura, anche spingendoci a cataste lontane, di trovare traversine piú leggere, ma ormai tutte le migliori sono già state trasportate, e non restano che le altre, Letteratura italiana Einaudi
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Primo Levi - Se questo è un uomo atroci, dagli spigoli vivi, pesanti di fango e ghiaccio, con inchiodate le piastre metalliche per adattarvi le rotaie.
Quando viene Franz a chiamare Wachsmann perché vada con lui a ritirare il rancio, vuol dire che sono le undici, e il mattino è quasi passato, e al pomeriggio nessuno pensa. Poi c’è il ritorno della corvée, alle undici e mezzo, e l’interrogatorio stereotipo, quanta zuppa oggi, e di che qualità, e se ci è toccata dal principio o dal fondo del mastello; io mi sforzo di non farle, queste domande, ma non posso impedirmi di tendere avidamente l’orecchio alle risposte, e il naso al fumo che viene col vento dalla cucina.
E finalmente, come una meteora celeste, sovrumana e impersonale come un segno divino, la sirena di mezzogiorno esplode a esaudire le nostre stanchezze e le nostre fami anonime e concordi. E di nuovo accadono le cose solite: tutti accorriamo alla baracca, e ci mettiamo in fila colle gamelle tese, e tutti abbiamo una fretta ani-malesca di perfonderci i visceri con l’intruglio caldo, ma nessuno vuol essere il primo, perché al primo tocca la razione piú liquida. Come al solito, il Kapo ci irride e ci insulta per la nostra voracità, e si guarda bene dal rime-scolare la marmitta, perché il fondo spetta notoriamente a lui. Poi viene la beatitudine (positiva questa, e viscera-le) della distensione e del calore nel ventre e nella capanna intorno alla stufa rombante. I fumatori, con gesti avari e pii, si arrotolano una magra sigaretta, e gli abiti di tutti, madidi di fango e di neve, fumano densi alla vampa della stufa, con odore di canile e di gregge.
Una tacita convenzione vuole che nessuno parli: in un minuto tutti dormono, serrati gomito a gomito, cascan-do improvvisi in avanti e riprendendosi con un irrigidir-si del dorso. Di dietro alle palpebre appena chiuse, erompono i sogni con violenza, e anche questi sono i soliti sogni. Di essere a casa nostra, in un meraviglioso bagno caldo. Di essere a casa nostra seduti a tavola. Di es-Letteratura italiana Einaudi
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Primo Levi - Se questo è un uomo sere a casa e raccontare questo nostro lavorare senza speranza, questo nostro aver fame sempre, questo nostro dormire di schiavi.
Poi, in seno ai vapori delle digestioni torpide, un nucleo doloroso si condensa, e ci punge, e cresce fino a varcare le soglie della coscienza, e ci toglie la gioia del sonno. «Es wird bald ein Uhr sein»: è quasi la una. Co-me un cancro rapido e vorace, fa morire il nostro sonno e ci stringe di angoscia preventiva: tendiamo l’orecchio al vento che fischia fuori e al leggero fruscio della neve contro il vetro, «es wird schnell ein Uhr sein». Mentre ognuno si aggrappa al sonno perché non ci abbandoni, tutti i sensi sono tesi nel raccapriccio del segnale che sta per venire, che è fuori della porta, che è qui...