4. Dio e i suoi profeti
Se molti riferimenti al bambino contengono una connotazione religiosa diretta o metaforica, il rapporto del padre con Dio è sempre conflittuale: si passa dalla visione iniziale del territorio «arido, muto, senza dio» (p.
4) alla maledizione più disperata che tante vittime innocenti nel corso della storia hanno gridato, quando inginocchiato nella cenere che copre ormai il mondo esclama: «Ci sei? […] Riuscirò a vederti prima o poi?
Ce l’hai un collo per poterti strangolare? Ce l’hai un cuore? Sii stramaledetto per l’eternità, ce l’hai un’anima? Oh Dio. Oh Dio» (p. 9). Anche quando ha paura di dover sparare al bambino per preservarlo da prove insopportabili, il pensiero che si affaccia è: «Bestemmia Dio e muori»
(p. 87). Ma è soprattutto l’incontro con il viandante, l’unico vero interlocutore umano incontrato nel corso del viaggio, che segnala l’appro-183
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fondimento del tema religioso. Il viandante è cencioso, lacero, ributtante.
Il bambino lo protegge da subito con forza, lo nutre «come un avvoltoio ferito caduto in mezzo alla strada» (p. 124). Il padre acconsente di ma-lavoglia, pone condizioni fra cui, imprevista, l’aspettativa che possa «spie-garci cosa è successo al mondo» (p. 126). È il nome del vecchio il segnale decisivo per riconoscere la sua identità nascosta. Il viandante dice infatti di chiamarsi Ely, come Elia, uno dei profeti biblici più significativi, quello che resuscita il figlio della vedova distendendosi sul cadavere del bambino ( Re 17, 21). Qui, in un ennesimo ribaltamento di prospettiva, è il bambino a salvare il profeta, diventato per antonomasia colui che non Alessandra
Ginzburg
sa, che non vede e soprattutto non crede: «Non c’è nessun Dio e noi siamo i suoi profeti» (p. 129). È ora l’uomo a proporre al vecchio la funzione salvifica del bambino: «E se le dicessi che è un dio?» (p. 131).
Ma il tempo dell’attesa del Messia è tramontato per sempre, sembra suggerire il vecchio: «Spero che quello che ha appena detto non sia vero, perché essere in viaggio con l’ultimo degli dei sarebbe terribile; spero proprio che non sia vero. Le cose andranno meglio quando non ci sarà più nessuno» (p. 131). Il pensiero del vecchio è quello che la morte stessa debba morire: «Quando ce ne saremo andati tutti qui resterà solo la morte, e anche lei avrà i giorni contati. Vagherà per la strada senza niente da fare e nessuno a cui farlo. Dirà: Dove sono finiti tutti?»
(p. 132). Alla fine il vecchio si allontana, «nero, curvo, secco come un ragno» (p. 132), ed il bambino resta in silenzio, apparentemente rassegnato. Non si volta. Sarà il padre a ritornare con il pensiero alle profezie, poco prima di morire: «Non c’è profeta nella lunga storia della terra a cui questo momento non renda giustizia. Di qualunque forma abbiate parlato, avevate ragione» (p. 211).
5. Sogni
Il romanzo inizia con un sogno del padre, che si vede in una caverna, guidato dal bambino (p. 3). Accanto al lago all’interno della caverna, la creatura (forse preistorica?) che lo guarda con occhi ciechi e poi si allontana mugolando – quasi una citazione letterale del Viaggio al centro della Terra di Verne – sembra la rappresentazione di un’umanità diventata cieca («il mondo morente abitato dai nuovi ciechi»: p. 15), priva com’è della luce della bontà di cui è portatore il bambino. Un sogno simile ritornerà a chiusura del libro, subito prima della morte del padre: ora è il bambino a tenere in mano una candela che illumina la caverna: «In quel corridoio freddo avevano raggiunto il punto di non ritorno, e soltanto la luce che si portavano dentro misurava la distanza dall’inizio» (p. 213). Quasi tutti gli altri sogni narrati sono del padre. Molti riportano sapori dimenticati, colori che non esistono più, e sono richiami di morte che si moltiplicano 184
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insieme alla sua stanchezza di vivere, quando inizia a fare «sogni floridi da cui detestava svegliarsi. Cose che il mondo non conosceva più […] lei che attraversava il giardino» (p. 101). Nell’imminenza della morte «vecchi sogni usurpavano il mondo reale» (p. 132).
Il bambino invece sogna raramente e non ama raccontare i suoi sogni.
Una volta descrive un’immagine inquietante, «un pinguino a molla a cui nessuno aveva dato la carica» (p. 29); in un altro sogno anticipa la morte del padre: «io piangevo forte e tu non ti svegliavi» (p. 139). Tace i suoi sogni, spiega, perché «succede sempre qualcosa di brutto. Ma tu hai detto che andava bene così, perché i sogni belli non portano bene» (p. 205).
Infatti il padre gli aveva detto: «Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, Cormac
vorrà dire che ti sei arreso. E tu non ti puoi arrendere, non lo permetterò»
McCarthy,
La strada (2006)
(p. 144). Sogni come illusioni, dunque, mentre i sogni giusti sono quelli di pericolo, se si eccettuano gli incubi simili a quello da cui il padre si sveglia urlando, in cui vede il bambino steso su un tavolo di obitorio: «Quello che riusciva a sopportare di giorno di notte diventava insopportabile»
(p. 99).
6. Umanità
Nel mondo che segue l’Apocalisse sembrano esistere, salvo pochissime eccezioni, soltanto sette sanguinarie che si sterminano a vicenda: i nuovi ciechi, uomini senza fede che girano incappucciati con maschere antigas.
L’uomo sa che si sono costituite delle comuni con tanto di barricate (p.
61), ma nel corso del viaggio l’orrore non ha mai fine. Vedranno un muro
«con un fregio di teste umane» (p. 69) ed incontreranno un’orda cenciosa: i cattivi, falangi di esseri barbuti, che trascinano schiavi in catene. Il bambino commenta: «ce ne sono tanti di questi cattivi» (p. 71). Ancora più spaventosa, la scoperta della cantina di una villa che sembra la descrizione di un ospedale psichiatrico o di un lager. In quel luogo uomini e donne nudi aspettano il loro turno per essere mangiati dai loro aguzzini che hanno esaurito le scorte (p. 85). Ovunque, «pronti a mangiarti i figli sotto gli occhi», «predoni anneriti […] come avventori negli spacci dell’inferno»
(pp. 136-137). Infine l’incontro più devastante per il bambino: «un neonato decapitato e sventrato che anneriva su uno spiedo» (p. 151). Anche il salvatore, colui che lo prenderà con sé dopo la morte del padre, ha un aspetto poco raccomandabile: «un reduce di antichi scontri, barbuto, con una cicatrice sulla guancia, l’osso fracassato e l’occhio ballerino» (p. 214).
A lui il bambino rivolge la domanda fatidica che ha in serbo da tanto tempo: «Tu sei uno dei buoni?» (p. 214). Poi, ancora più diretta, la precisa-zione dirimente che distingue i buoni dai cattivi: «Voi non mangiate la gente» (p. 216).
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7. Natura
È un universo senza luce, questo, in cui «le ceneri del mondo defunto»
(p. 9) invadono ogni superficie. Un mondo incolore in cui «il sole esiliato gira intorno alla terra come una madre in lutto con la lanterna in mano»
(p. 26), il buio è «freddo e autistico» (p. 7), la pioggia incessante e continua, la terra è squassata da terremoti ed illuminata sinistramente dagli incendi. Gli alberi morti cadono o bruciano come «selve di candele pa-gane» (p. 38). Neve, grandine e fulmini sottopongono la terra, che si con-trae per il freddo, ad un assedio continuo. Anche il mare è diventato un luogo alieno, grigio, costellato dei cadaveri dei pesci: «un’unica immensa Alessandra
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sepoltura salata» (p. 169). Tutti gli animali sono spariti da tempo, morti o divorati. L’apparizione di un cane, intravisto dal bambino, è il primo segnale, a cui il padre non presta fede, della vicinanza dei buoni.