Ma chi lo troverà se si era perso? Chi lo troverà, quel bambino?
Lo troverà la bontà. È sempre stato così. E lo sarà ancora. (p. 213) Si realizza dunque, nel ritrovamento conclusivo di una famiglia adottiva, simmetrica alla sua ma enormemente più ricca per la presenza di una madre e di due figli, il desiderio costantemente manifestato dal figlio nel corso del viaggio: incontrare altri «buoni», che non mangino gli umani né tantomeno i figli, e che permettano di allargare la società essenziale costituita con il padre. Un desiderio che si accentua nella parte finale del racconto, con il lancio del razzo in cerca di un contatto; fino a essere fatto proprio dal padre stesso, pur così restio ad abbandonare il suo pragma-tismo referenziale (sicuro com’è che l’immaginazione di un mondo migliore coincida con la resa alla morte),1 nel momento in cui avanza l’ipotesi struggente che al di là del mare su una spiaggia come quella siedano un 1 «Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso» (p. 144).
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altro padre e un altro figlio, quasi a illuminare di senso, con la loro sola esistenza, l’assurdità di quel momento:
E dall’altra parte cosa c’è?
Niente.
Ci deve pur essere qualcosa.
Magari ci sono un bambino e il suo papà seduti sulla spiaggia.
Non sarebbe male.
Già. Non sarebbe male.
E magari anche loro portano il fuoco, no? (p. 165)
Se l’obiettivo del padre è la sola sopravvivenza, nell’attesa di un senso Pietro Cataldi
che dovrà rivelarsi ma in cui egli non sa più credere (se non nel momento rivelatore della morte), e che ormai riconosce solo nel figlio, l’obiettivo del bambino è di percorrere con gli altri la strada su cui ora cammina con il padre, di formare una comunità che insieme si rivolga alla meta. Di questa comunità, il bambino vorrebbe chiamare a far parte perfino il «neonato decapitato e sventrato che si anneriva allo spiedo» (p. 151): «Il bambino disse: se quel bebè fosse con noi potremmo fare la strada tutti insieme» (p.
152). Né si rifiuta di guardare con la stessa pietas indulgente l’uomo che li ha rapinati di tutto, e cui il padre infligge la punizione umiliante di lasciarlo nudo e senza scarpe, noncurante del rischio altissimo di morte che ciò comporta, mentre il figlio chiede insistentemente di «aiutarlo»; fino a rivendicare il dovere di farsi carico di tutto quel dolore, in uno scorcio di dialogo che conferma una volta di più la natura intensamente religiosa di questa alle-gorizzazione, e la dimensione cristologica caricata sul bambino: Non tocca a te preoccuparti di tutto.
Il bambino disse qualcosa che l’uomo non capì. Cosa?, disse.
Il bambino alzò gli occhi, il viso sporco e bagnato. Sì, invece, disse. Tocca a me. (p. 197)
Mentre il cammino del padre mira solo alla sopravvivenza, il figlio prospetta implicitamente un percorso dotato di senso, immagina un viaggio il cui significato starebbe nel raccogliere insieme i sofferenti e i «buoni»
e procedere con loro, in una sorta di pellegrinaggio di salvezza.
La strada che padre e figlio percorrono insieme, dunque, e che dà il titolo al romanzo, ha per i due protagonisti un diverso significato: imma-nente per il padre, che in più occasioni respinge la pista religiosa nell’interpretazione della realtà, o anche si scaglia contro l’idea stessa di una divinità testimone di quel dolore;2 trascendente per il figlio, che volendone 2 Prima di aprirsi alla finale fiducia, di fatto religiosa, nella «bontà», il padre affronta rabbio-samente l’idea di una divinità che assista alla loro peregrinazione; e tanto più forte è la ne-gazione, quanto più l’avvicinarsi del pericolo fa di volta in volta risorgere il desiderio e il bisogno di affidarglisi (pp. 9, 58, 87). E tuttavia esiste sempre nel padre un’ambivalenza che può concedere la bestemmia ma esclude la rimozione del divino.
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chiamare a far parte perfino i morti (come il neonato bruciato), esprime un bisogno di redenzione, una prospettiva che restituisca senso anche al male già adempiuto. Quale sorgente primaria dei valori, il bambino è portatore di un’istanza altamente religiosa, la sola capace di reggere alla distruzione.
2. Il paradigma religioso
Il percorso di padre e figlio pare d’altra parte evocare molti tratti della tradizione biblica: le piaghe patite dal popolo eletto, le sue peregrinazioni, il soccorso infine sempre capace di salvarlo proprio quando la fine sembra vicina (una sorta di manna miracolosa appare il bunker colmo di cibo Cormac
scovato mentre la fame ha raggiunto il culmine: pp. 106 sgg.). E d’altra McCarthy,
La strada (2006)
parte una tensione religiosa analoga è presente nei modelli letterari cui l’autore ha guardato per la tensione stilistica, fatta di asciuttezza e rigore,3
e per la costruzione sempre allusiva di questo racconto: il Melville di Moby Dick, Conrad, l’ultimo Beckett. E molti elementi lasciano trasparire il ri-mando – implicito ma al tempo stesso dirimente – al grande codice della Bibbia.
Il momento culminante dell’allegoria biblica è l’altro episodio in cui meglio si rivela la propensione solidaristica del figlio, l’incontro con il vecchio che si fa chiamare «Ely»: nome che evoca tanto quello ebraico di Dio, invocato da Cristo sulla croce nel momento della morte («“Elì, elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”»: Mt 27, 46; Cristo riprende il Salmo 22), quanto quello del profeta Elia, che secondo la tradizione ebraica (cfr. Malachia 3, 23-24) interverrebbe sotto aspetti umani cangianti a soccorrere i suoi devoti in difficoltà. Mentre 3 L’asciuttezza e il rigore stilistici dominanti non escludono l’occasionale aprirsi di squarci più lavorati, sempre riferiti al mondo perduto o ai sogni che lo resuscitano. Al bianco e nero della descrizione presente si sostituisce in quei casi il «colore» della vita; ma questa, parlando al passato, assume i tratti perturbanti di un invito a morire («Quanto colore invece nei sogni.
In che altro modo poteva chiamarti a sé la morte? Poi ti svegliavi in un’alba fredda e tutto si riduceva immediatamente in cenere»: p. 16, subito dopo la descrizione stilisticamente rilevata di una vitale scena naturale del passato). L’avvicinarsi della morte si accompagna dunque a un progressivo recupero dei ricordi e del passato (un esempio: «Adesso di notte capitava che l’uomo si svegliasse in quella desolazione nera e gelida di ritorno da mondi dai colori delicati; amore umano, canto degli uccelli, sole»: p. 207). D’altra parte la perdita delle cose produce quella dei nomi, e il mondo minacciato dal nulla è anche sotto l’incantesimo dell’indicibilità.
Ciò che è perduto nella realtà scompare anche dalla lingua, sottratto alla mediazione dell’esperienza e della civiltà («Cercò di pensare qualcosa da dire ma non gli venne in mente nulla. Aveva già provato quella sensazione, qualcosa che andava oltre l’intorpidimento e la disperazione sorda. Il mondo che si riduceva a un nocciolo nudo di entità analizzabili. I nomi delle cose che seguivano lentamente le cose stesse nell’oblio. I colori. I nomi degli uccelli.
Le cose da mangiare. E infine i nomi di ciò in cui uno credeva. Più fragili di quanto avesse mai pensato. Quanto di tutto questo era già scomparso? Il sacro idioma privato dei suoi referenti e quindi della sua realtà. Ripiegato su se stesso come un essere che cerca di preservare il calore. Prima di chiudere gli occhi per sempre»: p. 68).
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il padre, fedele al suo mandato di sopravvivenza, non vorrebbe dar nulla al vecchio malconcio, il figlio strappa la concessione dapprima di una sca-toletta di frutta e poi la preparazione di una cena calda insieme; quasi evocando il racconto biblico ( I Re, 2, 5-8), che ricorda come al profeta Elia ritiratosi in montagna per parlare con Dio porgesse da mangiare un angelo. E il vecchio Ely confessa che all’apparizione del bambino ha cre-duto di essere morto: «Ha pensato che fosse un angelo?», gli chiede il padre; e il vecchio risponde che la sorpresa è consistita proprio nel rivedere un bambino: «Non avrei mai pensato di rivedere un bambino. Non im-maginavo che sarebbe successo» (p. 131). Un bambino sopravvissuto in Pietro Cataldi
quel mondo è un angelo, cioè, letteralmente, un annuncio. Ma di che cosa, il padre stesso non sa; ed è troppo per lui – e per il lettore – credere che sia l’annuncio del futuro.
Ely/Elia non parla di salvezza e sa profetizzare solamente il nulla che li assedia, negando la possibilità di qualsiasi prospettiva diversa dalla morte, per tutti, e soprattutto sostenendo che liberato dagli dèi il respiro sarà più leggero, cioè sarà più facile morire:
E se le dicessi che è un dio?