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No. Certo che no.

Neanche se stessimo morendo di fame? […] Comunque non mangeremo le persone.

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No. Non le mangeremo.

Per niente al mondo.

No. Per niente al mondo.

Perché noi siamo i buoni.

Sì.

E portiamo il fuoco.

E portiamo il fuoco. Sì.

Ok. (pp. 98-99)

Il figlio ha dunque un codice etico che non prevede l’adattabilità alle condizioni della sopravvivenza; non comunque oltre un certo limite. E

questo codice etico è costruito, oltre che su alcuni tabù (come quello de-Pietro Cataldi

cisivo dell’antropofagia), anche sul principio solidaristico della generosità e dell’altruismo.

La propensione altruistica del bambino si esprime soprattutto in due episodi-chiave.

Il primo è l’apparizione ai suoi occhi e non a quelli del padre di un altro bambino, subito dileguato e in parte, forse, proiezione di un non estinto bisogno di socialità. La preoccupazione che quel bambino sia solo al mondo, che nessun padre si prenda cura di lui, sembra esprimere d’altra parte la liberazione di una propria profonda angoscia: l’angoscia cui il proprio padre reale non può dare risposta e sollievo. Quel bambino è il proprio doppio indifeso, la parte di sé che il padre non ha potuto salvare.

E se quel bambino non ha nessuno che si prende cura di lui?, disse. Se lui non ce l’ha un papà? […] Ho paura per quel bambino.

Lo so, ma vedrai che se la caverà.

Papà, dovremmo tornare a prenderlo. Potremmo prenderlo e portarlo con noi. […]

Non possiamo.

E io dividerei con quel bambino tutte le mie provviste.

Smettila. Non possiamo.

Stava di nuovo piangendo. Ma quel bambino?, singhiozzava. Ma quel bambino? (p. 66)

L’angoscia del figlio esprime in ogni caso la disponibilità altruistica, e del tutto antieconomica, a socializzare la propria minima sicurezza e il proprio poco bene; a socializzare, perfino, il privilegio della protezione paterna. Le domande del figlio sono le interrogazioni cui il padre non può dare risposta, le domande di senso che il figlio deve accettare di vedere sempre frustrate; finché un altro padre e una madre non forni-ranno una risposta nei fatti, accogliendolo con loro dopo la morte di suo padre, concedendogli una parte del privilegio dei propri due figli, con-dividendo con lui la propria piccola sicurezza.

Quel finale darà al bambino la risposta che ora il padre non è in grado di dargli, relativizzando i valori egoistici del padre, spingendo la scommessa 190

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sul futuro oltre il suo orizzonte rattrappito, e al tempo stesso confermando ciò che sempre il padre ha promesso al figlio: che in un mondo devastato dal non senso, dai cattivi e dal dolore esistano anche altri buoni, nascosti come loro due, in attesa di riconoscersi e di incontrarsi. Una promessa che il padre ripete al figlio prima di cedere alla morte e di abbandonarlo alla sua lotta solitaria, nell’ultimo dialogo: richiamando in quel momento solenne il destino dell’ altro bambino, quello che il padre non ha potuto aiutare, e consegnandolo al figlio ora che, restando privo a sua volta della protezione paterna, questi sta per ricongiungersi a quella apparizione e alla sua perturbante carica di dolore. E questa promessa – l’aiuto dei buoni – anticipa l’incontro finale con la nuova famiglia, caricando anche sul futuro, proprio nel momento in cui il padre sta per essere privato di Cormac

ogni prospettiva ulteriore (e della sua funzione protettiva), il valore della McCarthy,

La strada (2006)

continuità, cioè il senso più di ogni altra cosa smarrito nel corso del viaggio («È sempre stato così. E lo sarà ancora»). Le parole ultime del padre sve-lano insomma il senso profondo della sua scommessa sul futuro: l’esistenza, o almeno la possibilità, di una continuità. Ed è per questo che la morte del padre è un evento necessario alla realizzazione del suo lascito e al compimento della sua opera.

Te lo ricordi quel bambino, papà?

Sì, me lo ricordo.

Secondo te sta bene, quel bambino?

Ma certo. Secondo me sta bene.

Secondo te si era perso?

No. Non credo che si fosse perso.

Ho paura che si fosse perso.

Secondo me sta bene.

Ma chi lo troverà se si era perso? Chi lo troverà, quel bambino?

Lo troverà la bontà. È sempre stato così. E lo sarà ancora. (p. 213) Si realizza dunque, nel ritrovamento conclusivo di una famiglia adottiva, simmetrica alla sua ma enormemente più ricca per la presenza di una madre e di due figli, il desiderio costantemente manifestato dal figlio nel corso del viaggio: incontrare altri «buoni», che non mangino gli umani né tantomeno i figli, e che permettano di allargare la società essenziale costituita con il padre. Un desiderio che si accentua nella parte finale del racconto, con il lancio del razzo in cerca di un contatto; fino a essere fatto proprio dal padre stesso, pur così restio ad abbandonare il suo pragma-tismo referenziale (sicuro com’è che l’immaginazione di un mondo migliore coincida con la resa alla morte),1 nel momento in cui avanza l’ipotesi struggente che al di là del mare su una spiaggia come quella siedano un 1 «Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso» (p. 144).

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altro padre e un altro figlio, quasi a illuminare di senso, con la loro sola esistenza, l’assurdità di quel momento:

E dall’altra parte cosa c’è?

Niente.

Ci deve pur essere qualcosa.

Magari ci sono un bambino e il suo papà seduti sulla spiaggia.

Non sarebbe male.

Are sens