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Già. Non sarebbe male.

E magari anche loro portano il fuoco, no? (p. 165)

Se l’obiettivo del padre è la sola sopravvivenza, nell’attesa di un senso Pietro Cataldi

che dovrà rivelarsi ma in cui egli non sa più credere (se non nel momento rivelatore della morte), e che ormai riconosce solo nel figlio, l’obiettivo del bambino è di percorrere con gli altri la strada su cui ora cammina con il padre, di formare una comunità che insieme si rivolga alla meta. Di questa comunità, il bambino vorrebbe chiamare a far parte perfino il «neonato decapitato e sventrato che si anneriva allo spiedo» (p. 151): «Il bambino disse: se quel bebè fosse con noi potremmo fare la strada tutti insieme» (p.

152). Né si rifiuta di guardare con la stessa pietas indulgente l’uomo che li ha rapinati di tutto, e cui il padre infligge la punizione umiliante di lasciarlo nudo e senza scarpe, noncurante del rischio altissimo di morte che ciò comporta, mentre il figlio chiede insistentemente di «aiutarlo»; fino a rivendicare il dovere di farsi carico di tutto quel dolore, in uno scorcio di dialogo che conferma una volta di più la natura intensamente religiosa di questa alle-gorizzazione, e la dimensione cristologica caricata sul bambino: Non tocca a te preoccuparti di tutto.

Il bambino disse qualcosa che l’uomo non capì. Cosa?, disse.

Il bambino alzò gli occhi, il viso sporco e bagnato. Sì, invece, disse. Tocca a me. (p. 197)

Mentre il cammino del padre mira solo alla sopravvivenza, il figlio prospetta implicitamente un percorso dotato di senso, immagina un viaggio il cui significato starebbe nel raccogliere insieme i sofferenti e i «buoni»

e procedere con loro, in una sorta di pellegrinaggio di salvezza.

La strada che padre e figlio percorrono insieme, dunque, e che dà il titolo al romanzo, ha per i due protagonisti un diverso significato: imma-nente per il padre, che in più occasioni respinge la pista religiosa nell’interpretazione della realtà, o anche si scaglia contro l’idea stessa di una divinità testimone di quel dolore;2 trascendente per il figlio, che volendone 2 Prima di aprirsi alla finale fiducia, di fatto religiosa, nella «bontà», il padre affronta rabbio-samente l’idea di una divinità che assista alla loro peregrinazione; e tanto più forte è la ne-gazione, quanto più l’avvicinarsi del pericolo fa di volta in volta risorgere il desiderio e il bisogno di affidarglisi (pp. 9, 58, 87). E tuttavia esiste sempre nel padre un’ambivalenza che può concedere la bestemmia ma esclude la rimozione del divino.

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chiamare a far parte perfino i morti (come il neonato bruciato), esprime un bisogno di redenzione, una prospettiva che restituisca senso anche al male già adempiuto. Quale sorgente primaria dei valori, il bambino è portatore di un’istanza altamente religiosa, la sola capace di reggere alla distruzione.

2. Il paradigma religioso

Il percorso di padre e figlio pare d’altra parte evocare molti tratti della tradizione biblica: le piaghe patite dal popolo eletto, le sue peregrinazioni, il soccorso infine sempre capace di salvarlo proprio quando la fine sembra vicina (una sorta di manna miracolosa appare il bunker colmo di cibo Cormac

scovato mentre la fame ha raggiunto il culmine: pp. 106 sgg.). E d’altra McCarthy,

La strada (2006)

parte una tensione religiosa analoga è presente nei modelli letterari cui l’autore ha guardato per la tensione stilistica, fatta di asciuttezza e rigore,3

e per la costruzione sempre allusiva di questo racconto: il Melville di Moby Dick, Conrad, l’ultimo Beckett. E molti elementi lasciano trasparire il ri-mando – implicito ma al tempo stesso dirimente – al grande codice della Bibbia.

Il momento culminante dell’allegoria biblica è l’altro episodio in cui meglio si rivela la propensione solidaristica del figlio, l’incontro con il vecchio che si fa chiamare «Ely»: nome che evoca tanto quello ebraico di Dio, invocato da Cristo sulla croce nel momento della morte («“Elì, elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”»: Mt 27, 46; Cristo riprende il Salmo 22), quanto quello del profeta Elia, che secondo la tradizione ebraica (cfr. Malachia 3, 23-24) interverrebbe sotto aspetti umani cangianti a soccorrere i suoi devoti in difficoltà. Mentre 3 L’asciuttezza e il rigore stilistici dominanti non escludono l’occasionale aprirsi di squarci più lavorati, sempre riferiti al mondo perduto o ai sogni che lo resuscitano. Al bianco e nero della descrizione presente si sostituisce in quei casi il «colore» della vita; ma questa, parlando al passato, assume i tratti perturbanti di un invito a morire («Quanto colore invece nei sogni.

In che altro modo poteva chiamarti a sé la morte? Poi ti svegliavi in un’alba fredda e tutto si riduceva immediatamente in cenere»: p. 16, subito dopo la descrizione stilisticamente rilevata di una vitale scena naturale del passato). L’avvicinarsi della morte si accompagna dunque a un progressivo recupero dei ricordi e del passato (un esempio: «Adesso di notte capitava che l’uomo si svegliasse in quella desolazione nera e gelida di ritorno da mondi dai colori delicati; amore umano, canto degli uccelli, sole»: p. 207). D’altra parte la perdita delle cose produce quella dei nomi, e il mondo minacciato dal nulla è anche sotto l’incantesimo dell’indicibilità.

Ciò che è perduto nella realtà scompare anche dalla lingua, sottratto alla mediazione dell’esperienza e della civiltà («Cercò di pensare qualcosa da dire ma non gli venne in mente nulla. Aveva già provato quella sensazione, qualcosa che andava oltre l’intorpidimento e la disperazione sorda. Il mondo che si riduceva a un nocciolo nudo di entità analizzabili. I nomi delle cose che seguivano lentamente le cose stesse nell’oblio. I colori. I nomi degli uccelli.

Le cose da mangiare. E infine i nomi di ciò in cui uno credeva. Più fragili di quanto avesse mai pensato. Quanto di tutto questo era già scomparso? Il sacro idioma privato dei suoi referenti e quindi della sua realtà. Ripiegato su se stesso come un essere che cerca di preservare il calore. Prima di chiudere gli occhi per sempre»: p. 68).

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Allegoria_63_Layout 1 09/03/12 10:27:08 Pagina 194 (Nero pellicola) Canone contemporaneo

il padre, fedele al suo mandato di sopravvivenza, non vorrebbe dar nulla al vecchio malconcio, il figlio strappa la concessione dapprima di una sca-toletta di frutta e poi la preparazione di una cena calda insieme; quasi evocando il racconto biblico ( I Re, 2, 5-8), che ricorda come al profeta Elia ritiratosi in montagna per parlare con Dio porgesse da mangiare un angelo. E il vecchio Ely confessa che all’apparizione del bambino ha cre-duto di essere morto: «Ha pensato che fosse un angelo?», gli chiede il padre; e il vecchio risponde che la sorpresa è consistita proprio nel rivedere un bambino: «Non avrei mai pensato di rivedere un bambino. Non im-maginavo che sarebbe successo» (p. 131). Un bambino sopravvissuto in Pietro Cataldi

quel mondo è un angelo, cioè, letteralmente, un annuncio. Ma di che cosa, il padre stesso non sa; ed è troppo per lui – e per il lettore – credere che sia l’annuncio del futuro.

Ely/Elia non parla di salvezza e sa profetizzare solamente il nulla che li assedia, negando la possibilità di qualsiasi prospettiva diversa dalla morte, per tutti, e soprattutto sostenendo che liberato dagli dèi il respiro sarà più leggero, cioè sarà più facile morire:

E se le dicessi che è un dio?

Il vecchio scosse la testa. Ormai certe cose me le sono lasciate alle spalle.

Da anni. Dove gli uomini non riescono a vivere gli dèi non se la cavano certo meglio. Vedrà. Stare soli è il minore dei mali. Quindi spero che quello che ha appena detto non sia vero, perché essere in viaggio con l’ultimo degli dèi sarebbe terribile; spero proprio che non sia vero. Le cose andranno meglio quando non ci sarà più nessuno.

Davvero?

Certo.

Meglio per chi?

Per tutti.

Per tutti.

Certo. Staremo tutti meglio. Respireremo più facilmente. (p. 131) L’incontro con un «viandante» (p. 123) e la condivisione della mensa, con tutta la simbologia che questo gesto può evocare, hanno davvero valore solamente per il bambino. Il padre si affanna a spiegare al vecchio che solo la bontà del figlio, e non certo la propria strategia di sopravvivenza, ha permesso il momento di generosità; e il vecchio, presentato

«come un Buddha denutrito e consunto» (p. 128), dichiara apertamente:

«Non c’è nessun Dio e noi siamo i suoi profeti» (p. 129). Protraendo il paradosso fino al punto di trasformare la situazione reale dell’incontro in un’ipotesi antilogica: «Se fosse successo qualcosa e fossimo sopravvissuti e ci fossimo incontrati per la strada avremmo di che parlare. Ma non è così, quindi non abbiamo niente da dirci» (pp. 130-131). Sembra, questa, la risposta coerente all’assurda, ironicamente straziata, richiesta del padre per la concessione del cibo: «E in cambio cosa devo fare?», domanda il 194

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vecchio; e il padre risponde: «Spiegarci cosa è successo al mondo» (p.

126). Infine, tutto si riassume nella possibilità che il nome stesso, quel nome così carico di echi sacri, sia solo un’invenzione improvvisata per proteggere la propria identità: al padre che chiede «Si chiama veramente Ely?», il vecchio risponde seccamente «No» (p. 130).

È come se McCarthy avesse radunato il grande apparato simbolico della tradizione ebraico-cristiana per spremerne un senso filosofico ed esistenziale nuovo, posto al cospetto della più tremenda secolarizzazione.

Ed è una scelta che non onora soltanto la solida formazione e sensibilità religiosa dell’autore, ma anche la sfida insita in questo libro relativamente al valore e alla tenuta delle convenzioni della civiltà nel suo insieme.

Nel finale del racconto il figlio dichiara apertamente di non saper parlare Cormac

con Dio, e di preferire il dialogo con il padre. Come il padre vede Dio nel McCarthy,

La strada (2006)

figlio, e non nei padri,4 così il figlio vede Dio nella memoria del padre; e la sola volta in cui nomina Dio è per ringraziare, prima del pasto, le persone che avevano nascosto le provviste nel bunker, con una preghiera che conferma ancora una volta il desiderio di redenzione solidaristica della quale il bambino è portatore, e nel quale sono coinvolti non soltanto il presente dei vivi e il loro futuro, ma anche il passato ormai perduto dei trapassati.

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