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sgocciolio d’acqua. Una luce che si affievoliva. Vecchi sogni usurpavano il mondo reale. Lo sgocciolio era nella caverna. La luce, una candela che il bambino teneva in un cono misura-anelli di rame battuto. La cera colava sulla pietra. Impronte di creature sconosciute sul loess necrotizzato. In quel corridoio freddo avevano raggiunto il punto di non ritorno, e soltanto la luce che si portavano dietro misurava la distanza dall’inizio. (p. 213) Se la superficie del racconto rappresenta il padre che protegge e guida il figlio, da un punto di vista più profondo ed essenziale, fin dall’inizio (come è rivelato nei sogni) il bambino guida il padre e gli illumina la strada. Se un senso c’è, sta in questa guida e nella sua luce, che occupano la
«caverna» della vita e il «corridoio» che porta alla morte.
Il bambino è la guida profonda del senso anche perché in lui il desi-Cormac
derio di sopravvivere non prevale sul bisogno di andare incontro alla vita McCarthy,
La strada (2006)
e alla relazione con gli altri. Oltre che dal desiderio di aiutare gli altri e di condividere con loro la strada, il figlio è mosso dal bisogno di comu-nicare, dalla ricerca di un contatto. E se il padre riesce, finché è forte, a reprimere e ridurre al minimo questo bisogno, semplificando sempre le richieste di senso che filtrano dalle domande del figlio, una volta sopraffatto dalla malattia e in prossimità della morte deve a sua volta cedere a dialoghi finalmente capaci di toccare l’essenza della loro condizione e cioè il senso della vita e della morte (cfr. soprattutto le pp. 183-187, 203-205 e 211-212). In questo finale slargarsi del rapporto fra i due protagonisti, trovano posto due tentativi di comunicazione con l’esterno compiuti dal figlio, che vorrebbe scrivere sulla sabbia un messaggio per i buoni, e che ottiene dal padre il lancio di un razzo7 luminoso nel cielo alla ricerca di una comunicazione: con qualche altro vivente, e anche, come il padre indovina, con una divinità; capace di dare un senso alla loro solitudine, dal momento che il padre ha appena negato la possibilità che altre persone siano vive al di fuori della terra, sentendosi rispondere dal figlio «Non so cosa ci stiamo a fare qui» (p. 186): una possibile, inedita messa in discus-sione della scelta paterna.
[Sparato il razzo] L’uomo guardò il viso del bambino, rivolto in su.
Da molto lontano non lo vedrebbero, vero, papà?
Chi?
Chiunque.
No. Da molto lontano, no.
7 Il dialogo fra il padre e il bambino sul lanciarazzi trovato nella barca è ancora una volta rivelatore delle diverse prospettive dei due protagonisti: come il padre deve confermare alle in-dovinate domande del figlio, per lui si tratta di un oggetto utile nella prospettiva di sparare contro qualcuno, cioè di difendersi dall’aggressione di un nemico; mentre per il bambino l’utilità starebbe nel fare segnali in cerca di un contatto, cioè di trovare dei sodali. E il lanciarazzi contiene in sé tanto il tema della luce quanto quello del fuoco, con le relative, com-plesse valenze.
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Allegoria_63_Layout 1 09/03/12 10:27:09 Pagina 198 (Nero pellicola) Canone contemporaneo
Se volessimo far capire a qualcuno dove siamo.
Ai buoni, intendi?
Sì. O a qualcuno a cui vogliamo dire che siamo qui.
Tipo chi?
Non lo so.
Tipo Dio?
Sì, per esempio, una cosa così. (p. 187)
3. La scelta della madre e quella del padre
Posto di fronte alle necessità immediate dell’esistenza, il rapporto fra Pietro Cataldi
padre e figlio si riduce, come ogni altra questione posta in questa opera, all’essenziale: il padre è chiamato alla funzione primaria di proteggere il figlio dalle minacce dell’ambiente circostante, inclusi gli altri umani. Sono cadute tutte le deleghe che nel tempo storico sono commesse alla società.
Non c’è struttura parentale, non c’è scuola o altra istituzione, non c’è più nulla che tuteli la fragilità biologica del bambino, che si frapponga tra lui e il nulla che ininterrottamente si affaccia per divorarlo.
Il figlio è per il padre non soltanto l’unica ragione di vita, ma la ragione della vita. Se il figlio morisse, il padre non vorrebbe più vivere (cfr. pp. 8-9); ma non solo, secondo l’interpretazione di fatto riduttiva che il bambino offre di questa confessione, perché vorrebbe restare sempre con lui, anche spostandosi dal mondo dei vivi a quello dei morti, ma perché – come abbiamo visto – sarebbe venuto definitivamente meno, con il solo spegnersi di quel respiro, il respiro del mondo; sarebbe divenuta muta la voce di Dio.
Il lettore scopre presto che la scommessa del padre – sopravvivere nel vuoto assoluto – si è contrapposta, in un momento critico del passato, a quella diversa della madre: morire piuttosto che vivere in un mondo ri-dotto a cenere. Benché posto al di fuori del tempo narrato nel romanzo, quel dissidio, con le diverse risoluzioni assunte dai genitori del bambino, costituisce un potente interrogativo posto al lettore. Formula anzi, a ben vedere, la posta filosofica in gioco, alla quale il lettore dovrà infine dare una risposta. Dal momento che un evento imprecisato ha avvicinato il re-gno dei morti a quello dei vivi, stabilendo una angosciosa osmosi della quale i due sopravvissuti non cessano di fare esperienza, è stato necessario scegliere se abbarbicarsi comunque al pulsare biologico della vita, oppure tutelare proprio con la morte ciò che è stato chiamato “vita” dall’umanità, e non accettarne una versione diversa.
La ricostruzione del momento in cui la scelta del padre e quella della madre si sono divise coincide con i blandi cenni alla catastrofe: «Gli orologi si fermarono all’una e diciassette» (p. 41), quasi una escatologica fine del tempo storico, quasi un giudizio universale; con il padre che riempie la vasca d’acqua già orientandosi alla resistenza e la madre che fraintende quel gesto, credendo che il marito voglia fare il bagno, e si rivela già orien-198
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tata a tutelare il passato. La «lama di luce» che manifesta la catastrofe illumina la madre incinta, tagliando via il passato rassicurante nel momento stesso in cui fa balenare un’imminente nascita futura: «Lei era ferma sulla porta in camicia da notte, aggrappata allo stipite, una mano a sostenere il pancione». La descrizione del parto, «nel loro letto, alla luce di una torcia elettrica» (p. 46), giunge a concludere questa ricostruzione, incor-niciando il confronto delle pagine 43-46 fra l’uomo e la donna circa il significato di una eventuale sopravvivenza in quelle condizioni. Veniamo a sapere che nella pistola non ci sono più tre proiettili ma due,8 e che dunque la promessa di morte non può più garantire la protezione dell’intero nucleo famigliare. Al di là dell’ipotesi che il terzo proiettile sia stato usato per uccidere il cane9 (cfr. p. 67), proprio come il bambino te-Cormac
me, la scelta della donna è di sostituirsi a quel proiettile e di darsi la morte, McCarthy,
La strada (2006)
prendendo atto di ciò che ai suoi occhi si è già adempiuto: la morte ha vinto, la morte è lì, e per questo, come fa osservare al suo compagno, non ne parlano più (cfr. p. 44). Decisive risultano alcune dichiarazioni rivolte dalla donna all’uomo nel momento del distacco:
Tu parli di resistere, ma resistere per cosa? Il mio cuore si è spezzato la notte che è nato lui, quindi adesso non chiedermi di provare dolore. Non ne provo. Magari tu te la caverai bene. Ne dubito, ma non si sa mai. L’unica cosa che posso dirti è che non sopravviverai per te stesso. Lo so perché non sarei mai arrivata fino a qui. Le persone che non hanno nessuno fa-rebbero bene a imbastirsi qualche fantasma decente. Dargli il soffio della vita e convincerlo a proseguire con parole d’amore. Offrirgli ogni minima briciola e proteggerlo dal male con il proprio corpo. Quanto a me, spero solo di raggiungere il nulla eterno, e lo spero con tutto il cuore. (p. 45) Il cuore spezzato di lei può reintegrarsi solo nell’annullamento: ciò che la donna realizzerà con una «scheggia di ossidiana», dopo essersi al-lontanata senza neppure salutare il figlio, e dopo aver definito con tanta lucida spietatezza l’orizzonte di senso nel quale si muove, per tutto il racconto, il comportamento del padre.
La scelta della madre, morire, non è tuttavia una scelta contro la vita; e non verrà mai presentata in questo modo ogni volta che la «pallida spo-8 Un’analisi dei numeri presenti nel racconto darebbe di certo significativi risultati, in particolare lungo la pista biblica. Come potrà essere casuale l’ora in cui si fermano gli orologi (l’una e diciassette)? O il calibro del lanciarazzi (37 millimetri, cioè 3 più 7, i numeri sacri per eccellenza)? O le «otto cartucce» che vi si accompagnano (p. 183)? O i tre (e poi due) proiettili residui?
9 Un cane segue «per due giorni» il padre e il bambino, quando c’è ancora la madre; e i due adulti cercano di ucciderlo con un «cappio di fil di ferro» per risparmiare le cartucce e cibarsi della bestia, ma forse la cosa non riesce (p. 67). È questo «il cane che [il bambino] ricorda», e che alimenta il timore che il padre possa ammazzare un cane che si sente abbaiare in lon-tananza (cfr. p. 63), nonché il desiderio di salvare, oltre al bambino smarrito, anche il cane, e di fare la strada insieme a lui (p. 66).