Tanta concentrazione di furore e di sprezzo, come quella che le oscurava il viso e le sprizzava dagli occhi neri, non avrei mai creduto possibile neanche in lei. La cicatrice fatta dal martello era, come avveniva sempre nei momenti di eccitazione dei suoi tratti, fortemente deli-neata. Quando il tremito che io avevo già notato l’agitò, 835
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essa vi portò la mano per reprimerlo, notando che io la guardavo.
– Bel tipo da condurre qui e da difendere, non è vero? –
ella disse. – Siete un bell’amico.
– Signorina Dartle – risposi – non vorrei che foste così ingiusta da condannarmi!
– E perché portate la discordia fra queste due folli creature? – ella rispose. – Non sapete che sono tutti e due matti d’ostinazione e d’orgoglio?
– È colpa mia? – risposi.
– È colpa vostra! – ella rispose. – Perché avete condotto quest’uomo qui?
– È una persona gravemente offesa, signorina Dartle –
dissi: – voi non lo sapete, forse?
– Io so che Giacomo Steerforth – ella disse, con la mano sul seno, come per frenare la tempesta che v’infuriava –
ha il cuore corrotto e falso, ed è traditore. Ma che m’importa di quest’uomo e della sua miserabile nipote?
– Signorina Dartle – io risposi – voi aggravate l’offesa, che è già abbastanza grande. Vi dirò soltanto che gli fate un gran torto.
– Non gli faccio nessun torto – ella rispose. – Essi sono dei miserabili senza onore; e lei, la vorrei veder frustata.
Il pescatore Peggotty uscì dalla porta senza dire una 836
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parola.
– Oh, vergogna, signorina Dartle, vergogna – io dissi indignato. – Come potete avere il cuore di calpestare un uomo affranto da una sventura immeritata?
– Vorrei calpestarli tutti quanti – ella rispose. – Vorrei che la sua casa fosse rasa al suolo. Vorrei che la nipote venisse marchiata in fronte, coperta di cenci, e gettata sul lastrico a morirvi di fame. Se avessi il potere di giu-dicarla, ecco che le farei fare! Le farei fare? Glielo farei io! Io la detesto. Se potessi gridarle sul muso la sua infamia, andrei in capo al mondo a farlo. Se potessi inse-guirla fin nel suo sepolcro, lo farei. Se vi fosse qualche parola che potesse confortarla nell’ora della morte, e io sola fossi in grado di dirla, non la direi neanche a costo della vita.
La veemenza di queste parole non può dare, io credo, che una debole immagine del furore che l’aveva invasa, e che si manifestava in tutta la persona; benché ella non levasse la voce, e parlasse più piano del solito.
Nessuna descrizione potrebbe rappresentare l’immagine rimastami di lei in quel ribollimento di furore. Ho veduto la collera sotto molti aspetti, ma non mai sotto quell’aspetto.
Quando raggiunsi il pescatore Peggotty, egli camminava lento e pensoso giù per la collina. Mi disse, appena gli fui a fianco, che avendo oramai fatto ciò che si 837
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proponeva di fare a Londra, intendeva di cominciare quella sera stessa «i suoi viaggi». Gli chiesi dove intendesse andare. Mi rispose soltanto: «Vado, signore, a cercare mia nipote».
Ritornammo all’appartamentino sulla bottega del droghiere, e ivi ebbi l’opportunità di ripetere a Peggotty ciò ch’egli m’aveva detto. A sua volta, ella m’informò, ch’egli aveva detto a lei la stessa cosa la mattina. E non ne sapeva più di me su dove volesse andare, ma egli forse aveva in testa qualche progetto.
In tali condizioni non volli lasciarlo, e tutti e tre desi-nammo insieme con un pasticcio di filetto – uno dei piatti che Peggotty cucinava a perfezione – che allora, mi ricordo, mi parve fragrante d’un odore misto di tè, di caffè, di burro, di lardo, di cacio, di pane fresco, di legna da ardere, di candele e di funghi, che s’effondeva di continuo dalla bottega. Dopo il desinare, ci trattenemmo seduti per un paio d’ore accanto alla finestra, senza parlar molto; e poi il pescatore Peggotty si levò, andò a prendere il sacco di tela incerata e il bastone, e li depose sulla tavola.
Accettò dalla sorella una sommetta in acconto del suo legato; appena abbastanza, a quanto mi parve, per vivere qualche mese. Promise di scriverle, se qualcosa gli accadesse, si pose il sacco in ispalla, si prese il cappello e il bastone, e ci disse: «Addio!».
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– Che Dio ti benedica, mia cara – aggiunse, abbracciando Peggotty – e voi anche, signorino Davy – disse, stringendomi la mano. – Io vado a cercarla, dove si trova. Se dovesse ritornare, mentre io son via (ma, ahimè, non è probabile!) o se dovessi ricondurla io, la mia intenzione sarebbe d’andare a vivere con lei dove nessuno potrà muoverle un rimprovero. Se mi dovesse capitar qualche disgrazia, ricordate le ultime parole che io lascio per lei; «Il mio affetto per la mia figliuola è immutabile, e io le perdono!».
Disse questo con solennità, a testa nuda, poi, mettendosi il cappello, discese le scale, e s’allontanò. Noi lo seguimmo alla porta. Era una sera calda e polverosa, e l’o-ra in cui nella grande arteria, in cui sboccava la nostra stradicciola, v’era un momentaneo intervallo del continuo traffico sul marciapiede, e un vivo splendor di sole.
Egli svoltò solo all’angolo del nostro vicolo oscuro, entrò nel fulgore della luce, e lo perdemmo di vista.
Raramente tornò quell’ora, raramente mi svegliai di notte, raramente guardai la luna o le stelle, o vidi cader la pioggia, o udii soffiare il vento, senza pensare all’uomo che continuava ad andar solo soletto, povero pellegrino, e senza ricordare queste parole:
«Io vado a cercarla, dove si trova. Se mi dovesse capitar qualche disgrazia, ricordate le ultime parole che io lascio per lei: – Il mio affetto per la mia figliuola è immutabile, e io le perdono!».
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