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– Non parlare di povertà, e di lavoro penoso! – disse Dora, stringendomisi più da presso. – Per carità! Per carità!

– Amor mio dolce – dissi – il tozzo di pane guadagnato col sudo...

– Oh, sì! Ma io non voglio sentir più parlare di tozzi di pane! – disse Dora. – E Jip deve avere tutti i giorni alle dodici una costoletta di castrato. Se no, morrebbe.

Io ero sotto il fascino della grazia delle sue maniere infantili. Spiegai teneramente a Dora che Jip avrebbe avuto la sua costoletta di castrato con la consueta puntualità. Tratteggiai il quadro della nostra frugale vita avvenire, resa indipendente dal mio lavoro – tenendo a modello la casetta visitata a Highgate e confinando mia zia 960

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nella camera superiore.

– Sono terribile adesso, Dora? – dissi con gran tenerezza.

– Oh, no, no! – esclamò Dora. – Ma spero che tua zia si tratterrà molto in camera sua. E spero che non sarà una vecchia brontolona.

Se mi fosse stato possibile voler più bene a Dora di quanto le volessi, son certo che gliel’avrei voluto. Ma sentivo che ella era un poco inaccessibile. Il mio novello ardore si attenuava nel trovare che era così difficile co-municarlesi. Feci un’altra prova. Quando si fu rimessa completamente, e stava arrotolando le orecchie di Jip, che le giaceva in grembo, io assunsi un aspetto grave, e le dissi:

– Mia cara, posso dirti una parola?

– Oh, per favore, non parlare d’esser pratico! – disse carezzevolmente Dora. – Perché mi metti paura.

– Cuor mio! – risposi. – Non c’è nulla da aver paura.

Vorrei che tu la pensassi diversamente. Vorrei darti invece coraggio.

– Oh, ma è proprio questo che mi fa paura!

– Amor mio, no. La perseveranza e l’energia del carattere ci metteranno in grado di sopportare le peggiori cose.

– Ma io non ne ho la forza – disse Dora, scotendo i riccioli. – È vero, Jip? Bacia Jip, e sorridi.

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Era impossibile rifiutare di baciare Jip, mentre me lo presentava con quello scopo, atteggiando la lucente rosea boccuccia alla forma di un bacio e dirigendo l’operazione, che volle venisse compiuta con esattezza nel centro del naso del cagnolino. Feci com’ella chiedeva, e m’ebbi dopo il compenso per la mia ubbidienza; e non so per quanto tempo non mi riuscì di riapparir grave.

– Mia Dora, mia diletta – dissi finalmente, ritrovando il mio aspetto solenne: – stavo per dirti qualche cosa.

Lo stesso giudice della Corte delle Prerogative si sarebbe innamorato di lei vedendola giungere le manine e le-varle, pregandomi e scongiurandomi di non farle più paura.

– Ma no, che non ti farò paura, cara! – le assicurai. – Ma Dora, amor mio, se qualche volta penserai, senza sco-raggiamenti, sai, tutt’altro; ma se qualche volta penserai, appunto per aver coraggio, che tu sei fidanzata a un giovane povero...

– No, no! Non lo dire! – esclamò Dora. – È così terribile!

– Ma no, anima mia! – dissi allegramente.

– Se tu vorrai pensare qualche volta a questo, e occuparti di tanto in tanto delle faccende domestiche del tuo papà, sforzandoti di abituarti un poco... ai conti, per esempio.

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La povera piccola Dora accolse questo consiglio con qualche cosa che era un singhiozzo o un grido.

– ... Dopo ci sarebbe utilissimo – continuai.

– E se tu mi promettessi di leggere un po’... un po’ il Libro di cucina che io ti manderei, sarebbe eccellente per tutti e due. Perché la nostra via nella vita, mia cara Dora

– dissi, infervorandomi del soggetto – è piena ora di sassi e di triboli, e toccherà a noi spianarla. Noi dobbiamo lottare per andare innanzi. Noi dobbiamo lottare valoro-samente. Vi sono ostacoli da affrontare, e li affrontere-mo, e li supereremo!

Continuavo sempre con maggior calore, col pugno chiuso e il volto pieno di entusiasmo; ma era inutile andare innanzi. Avevo detto abbastanza. Il bel risultato che avevo ottenuto! Oh, lei aveva tanta paura! Oh, dov’era Giulia Mills? O perché non la conducevo da Giulia Mills, e perché non me n’andavo via, per favore? Di guisa che, in breve, ero assolutamente fuori di me, e dicevo delle cose pazze aggirandomi per il salotto.

Quasi mi parve d’averla ammazzata. Le spruzzai dell’acqua in viso. M’inginocchiai, mi mise le mani nei capelli, mi chiamai bruto spietato e crudelissima bestia. Le implorai di perdonarmi. La supplicai di levar su gli occhi. Sconvolsi la cassetta da lavoro della signorina Mills in cerca d’una boccettina d’odore, e nel mio disperato scompiglio mentale m’aggrappai a un agoraio d’avorio 963

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e lo vuotai sul volto di Dora. Mostrai il pugno a Jip, che era più frenetico di me. Commisi tutte le stravaganze possibili ed impossibili, ed ero già al colmo della disperazione, quando la signorina Mills fece il suo ingresso nel salotto.

– Che è stato? – esclamò la signorina Mills, soccor-rendo l’amica.

Risposi: «Io, Signorina Mills. Sono stato io! Guardate il colpevole!» e altre parole simili, e mi nascosi il viso nel guanciale del canapè.

Prima la signorina Mills pensò che ci fossimo bistic-ciati, e che fossimo arrivati sull’orlo del deserto di Sahara; ma presto comprese lo stato delle cose, perché la mia dolce ed affettuosa Dora, abbracciandola, cominciò a dire che io ero un «povero lavoratore»; e poi pianse sulla mia sorte, e mi abbracciò, e mi chiese di conser-varle tutto il suo denaro, e poi s’abbandonò sul collo della signorina Mills, singhiozzando come se il suo cuoricino si fosse infranto.

La signorina Mills forse era nata per la nostra felicità.

Ella volle sapere da me in poche parole di che si trattasse, consolò Dora, e gradatamente le fece capire che io non ero un lavoratore – dalla mia maniera di parlare credo che Dora avesse concluso che fossi un marinaio, e salissi e scendessi lungo una passerella tutto il giorno –

e così ci fece far la pace. Quando ci fummo completa-964

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mente rimessi, e Dora andò su a spruzzarsi un po’ d’acqua di rosa sugli occhi, la signorina Mills fece servire il tè. Nell’intervallo che seguì, dissi alla signorina Mills che ella era più che mai mia amica, e che il mio cuore doveva cessare di battere, prima che potessi dimenticare la sua simpatia.

Allora esposi alla signorina Mills tutto ciò che invano mi ero sforzato di esporre a Dora. La signorina Mills osservò, parlando in generale, che la Capanna della Mode-razione era migliore del Palazzo del freddo Splendore, e che dove c’era l’amore, c’era tutto.

Io dissi alla signorina Mills che questo era verissimo; e chi più di me, che volevo bene a Dora come nessun mortale mai aveva voluto bene alla sua fiamma, poteva esserne persuaso? Ma siccome la signorina Mills osservò, incredula, che sarebbe stato meglio per alcuni cuori se così fosse stato, aggiunsi che mi permettesse di limitare la osservazione ai mortali di genere maschile.

Are sens