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– Oh, veramente cercherò, vedrai! – ella rispose. – Ap-prenderò la chiarezza da... aspetta... da Giacomo.
– Tu non puoi apprendere la chiarezza, Rosa – disse la signora Steerforth, subito, perché vi era sempre qualche effetto di sarcasmo in ciò che diceva Rosa Dartle, benché parlasse, come aveva fatto questa volta, nella più spontanea maniera del mondo – a una scuola migliore. –
Di questo son certa – ella rispose, con insolito fervore. –
Se son certa di qualche cosa, sai, è proprio di questo.
Mi parve che la signora Steerforth fosse pentita d’essersi sentita un po’ punta, perché subito disse con tono dolce:
– Bene, Rosa, non ci dici ancora che cosa vuoi sapere.
– Che cosa voglio sapere? – ella rispose, con freddezza irritante. – Oh! Soltanto questo: se le persone che si rassomigliano nella loro costituzione morale... è questa la frase?
– È una frase come un’altra – disse Steerforth.
– Grazie: se le persone che si rassomigliano nella loro costituzione morale siano in maggior pericolo, supponendo che un grave conflitto scoppi fra loro, di separarsi irosamente e violentemente, che non altre persone senza questa rassomiglianza.
– Io direi di sì – disse Steerforth.
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– Diresti di sì – essa rispose. – Poveretta me! Nell’ipotesi allora... (si può fare anche una ipotesi improbabile per dare un esempio) ... che tu e tua madre aveste un grave litigio... – Mia cara Rosa – interruppe la signora Steerforth, mettendosi cordialmente a ridere – fammi il piacere di pensare a un altro esempio. Grazie a Dio, Giacomo e io conosciamo benissimo i nostri doveri reciproci.
– Oh! – disse la signorina Dartle, scotendo pensosa il capo. – Certamente. Questo lo impedirebbe? Certo, lo impedirebbe. Esattamente. Ora son contenta d’essere stata così sciocca da portare un esempio simile; perché è bene sapere che i vostri doveri reciproci ve lo impedi-rebbero.
Non debbo omettere un’altra piccola circostanza che si riferisce alla signorina Dartle; perché ebbi ragione di ricordarla dopo, quando mi fu palese tutto il passato irre-parabile. Durante tutto quel giorno, ma specialmente da quel momento, Steerforth s’adoprò con la sua massima abilità, e pur con la massima disinvoltura, d’esser gradevole e gradito compagno di quella creatura singolare. E
non mi sorprese affatto ch’egli ci riuscisse. Che ella lottasse contro l’affascinante influenza dell’arte deliziosa di lui – deliziosa natura, credevo allora – neppure mi sorprese; perché sapevo che a volte ella era piena di pre-venzioni e ostinata. Vidi i lineamenti e le maniere di lei gradatamente cambiarsi; la vidi che lo contemplava con 771
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crescente ammirazione; la vidi sforzarsi, sempre più debolmente, ma sempre con un certo sdegno, come turbata dalla propria debolezza, di resistere al fascino ch’egli esercitava su di lei; e finalmente la vidi rammorbidire l’aguzzo sguardo, addolcire il sorriso, e il timore che avevo avuto di lei in tutta la giornata si dileguò, e ci sedemmo innanzi al fuoco, a parlare e ridere tutti insieme, con l’abbandono d’ogni riserva, come tanti bambini.
Non so se fosse perché eravamo rimasti seduti tanto tempo, o perché Steerforth avesse in animo di non perdere il vantaggio guadagnato, ma non rimanemmo nella sala da pranzo più di cinque minuti dopo di lei. «Ella sta sonando l’arpa», disse Steerforth, piano, avvicinandosi alla porta del salotto, «e nessuno, tranne mia madre, l’ha sentita sonare da più di tre anni». Lo disse con un curioso sorriso, che scomparve subito; ed entrammo nel salotto, dove Rosa era sola.
– Non t’alzare – disse Steerforth (ma ella era già in piedi); – mia cara Rosa, non t’alzare. Sii buona una volta, e cantaci una canzone irlandese.
– Che t’importa d’una canzone irlandese? – ella rispose.
– Molto! – disse Steerforth. – Molto più che non credi. C’è qui anche Margherita a cui piace infinitamente la musica. Cantaci una canzone irlandese, Rosa. Io me ne starò qui seduto ad ascoltarti come una volta.
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Egli non toccò né lei, né la sedia dalla quale ella s’era levata, ma si sedette accanto all’arpa. Rosa rimase per qualche istante in piedi, in singolare maniera, facendo l’atto di sonar lo strumento, ma senza sonarlo. Finalmente si sedette, e trasse a sé l’arpa improvvisamente, e si mise a sonare e a cantare.
Non so se fosse la maniera di sonare o la voce che desse a quella canzone un tono soprannaturale, non mai più udito o immaginato. V’era qualcosa di terribile nella sua realtà. Era come se non fosse mai stata scritta o messa in musica, ma zampillasse da un fervore spirituale, che pur trovava un’imperfetta espressione nei suoni bassi della voce, e si rannicchiava nell’ombra quando tutto era silenzio. Io ero muto, quand’ella si appoggiò di nuovo accanto all’arpa, facendo ancor con la destra l’atto di so-narla, senza toccar le corde.
Dopo un minuto, ero stato tratto dalla mia fantasticherìa da questo: Steerforth s’era levato, le s’era avvicinato mettendole il braccio allegramente intorno alla vita, e le aveva detto: «Su, Rosa, per l’avvenire noi ci vorremo sempre molto bene!». Ed ella lo aveva percosso, lo aveva allontanato con uno spintone, ed era uscita dalla stanza con la furia d’un gatto selvatico.
– Che ha fatto Rosa? – disse la signora Steerforth, entrando.
– Per un po’ è stata un angelo, mamma – rispose Steer-773
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forth; – e poi, per compensarsene, è diventata l’estremo opposto.
– Tu dovevi badare a non irritarla, Giacomo. Il suo carattere s’è inasprito, ricorda, e non si deve stuzzicare.
Rosa non apparve più; e non fu fatta altra menzione di lei, se non quando andai a dare la buona sera a Steerforth nella sua stanza. Allora egli si mise a ridere parlando di lei, chiedendomi se avessi visto mai un simile piccolo documento d’incomprensibilità.