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Non avevo pensato a quella difficoltà; ma pure entrando avevo avuto il timore di sentire l’antico ritmo. Giacché Omer m’accennava a quella difficoltà, approvai la sua delicatezza e glielo dissi.

– Sì, sì, voi mi capite – disse Omer, scotendo il capo. –

Noi non ne abbiamo il coraggio. Capite, sarebbe un colpo dal quale la maggior parte dei malati non potrebbero riaversi, dire: «Omer e Joram vi mandano i loro saluti, e desiderano sapere come state questa mattina» o «questa sera», secondo i casi.

Scambiai con Omer un cenno del capo, e Omer riprese lena con l’aiuto della pipa.

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– È una delle cose che vietano alle persone del nostro mestiere di mostrarsi gentili come sarebbe nei loro desideri. Vedete me, per esempio. Ho conosciuto Barkis un anno fa, ma nel modo che lo salutavo quando passava di qui, si sarebbe detto che lo conoscessi da quaranta. Pure non posso andare a dirgli: «Come state?».

Era crudele per Omer, e glielo dissi.

– Io non sono più interessato, credo, d’un altro – disse Omer. – Vedete me. Il fiato può mancarmi in qualunque momento, e non è probabile, per quanto io mi sappia, che, in simili condizioni, io possa essere interessato.

Dico non è probabile in un uomo che sa che il suo fiato se n’andrà, quando se n’andrà, come se si spaccasse un mantice; in un uomo che è nonno per giunta.

Dissi: «Lo so bene».

– Non che mi dolga del mio mestiere – disse Omer: –

non è questo. C’è un po’ di bene e un po’ di male, senza dubbio, in tutte le professioni. Vorrei soltanto che la gente venisse educata in modo da avere un cuore più fermo.

Omer, con un viso pieno di compiacenza e di amabilità, cacciò parecchie boccate di fumo in silenzio, e poi disse, tornando al primo punto:

– Quindi noi siamo costretti, per sapere come sta Barkis, a limitarci a interrogare l’Emilia. Lei sa qual è il nostro vero scopo, e non ha maggior timore e sospetto di noi, 779

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come se si trattasse di tanti agnelli. Minnie e Joram sono appunto andati a trovarla (essa è, là in casa della zia a darle una mano) per domandarle come sta Barkis stasera; e se non vi dispiacerà d’attendere il loro ritorno, avrete delle notizie precise. Volete prendere qualche cosa? Un bicchiere di rum ed acqua, per esempio?

Quando fumo, bevo sempre rum e acqua – disse Omer, prendendo il bicchiere – perché mi si dice che ammorbi-disce i canali per i quali passa questo mio respiro, fasti-dioso. Ma, il Signore vi benedica – disse Omer con voce rauca – non sono i canali che sono guasti! Datemi abbastanza fiato... dico io a mia figlia Minnie... ché ci penso io a trovargli il passaggio.

Egli in realtà non aveva una gran provvista di fiato, e faceva impressione vederlo ridere. Quando fu di nuovo in condizione di rispondere, lo ringraziai per l’offerta del rinfresco che rifiutai, perché avevo desinato allora allora; e, aggiungendo che avrei aspettato, giacché era così gentile da permettermelo, il ritorno della figliola e del genero, gli domandai come stesse l’Emilietta.

– Bene, signore –, disse Omer, togliendosi di bocca la pipa, per potersi stropicciare il mento. – Vi dico la verità, sarò contento quando la vedrò maritata.

– Perché?

– Perché ora è distratta – disse Omer. – Non che non sia bella come prima, perché è più bella... vi assicuro 780

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che è più bella. Non che non lavori bene come sempre, perché lavora bene. Valeva sei persone e ne vale ancora sei. Ma le manca la fibra. Se voi comprendeste – disse Omer, dopo essersi stropicciato un’altra volta il mento e aver fumato un poco – ciò che intendo in maniera generale con l’espressione: «Tirate, tirate più forte, più forte ancora, bravi!», vi direi che è questo appunto in maniera generale ciò che manca all’Emilia.

Il viso e il tono di Omer erano così espressivi, che potei coscienziosamente accennar di sì con la testa, per dir che lo comprendevo. La rapidità del mio comprendonio parve riuscirgli gradita, ed egli continuò:

– E la ragione si è, credo, principalmente in questa sua condizione d’incertezza, vedete. Ne abbiamo parlato molto, io e lo zio, io e il suo fidanzato, dopo il lavoro; e credo che la ragione principalmente sia in questa sua condizione d’incertezza. Dobbiamo sempre tener presente che l’Emilia – disse Omer, scotendo dolcemente il capo – è una creatura straordinariamente affezionata. Il proverbio dice che non si può fare una borsa di seta con l’orecchio di un asino. Bene, veramente non so. Credo che si possa, se si comincia di buon’ora. Essa ha fatto di quel vecchio battello una casa che la pietra e il marmo non saprebbero fare.

– Lo credo perfettamente – dissi.

– Vedere come quella bella creatura s’attacca a suo zio –

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disse Omer; – vedere come si stringe a lui sempre più forte, sempre più accosto, è assistere a uno spettacolo.

Ora, sapete, in un caso simile v’è certamente una lotta.

E perché dovrebbe essere più lunga del necessario?

Ascoltavo attentamente il buon vecchio, e assenti-vo, con tutto il cuore, a ciò che diceva. .

– Perciò, dissi – continuò Omer, in tono semplice e bonario – questo. Dissi: «Non considerate ora l’Emilia inchiodata per il fatto del suo impegno. Fate come v’aggrada. Il suo lavoro m’ha reso più di quanto m’a-spettassi; ed essa ha imparato più rapidamente di quanto si potesse sperare; Omer e Joram possono passare un tratto di penna sul tempo che le rimane; ed ella sarà libera quando vorrete. Se a lei piacerà, dopo, di trattare per far qualche cosetta a casa per noi, bene. Se non vorrà, non importa. A ogni modo, noi non perdiamo nulla». Perché... vedete – disse Omer, toccandomi con la pipa – non è verosimile che un uomo senza fiato come me, e nonno per giunta, si metta a fare il pun-tiglioso con un bocciuolo dagli occhi azzurri come lei.

– Certo, non è verosimile – dissi.

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