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Espressi tutta la meraviglia di cui ero capace, e chiesi se egli indovinasse la ragione che aveva potuto irritarla tanto, così all’improvviso.

– E chi lo sa? – disse Steerforth. – Tutto ciò che vorrai... o niente. Ti dissi già ch’ella porta tutto, compresa sé stessa, alla mola, e l’affila. È come un rasoio, e occorre gran precauzione nel maneggiarla. È sempre pericolosa. Buona sera!

– Buona sera – dissi, – mio caro Steerforth. Io me n’andrò prima che tu ti svegli domani. Buona sera.

Egli non era disposto a lasciarmi andare; e stava, tenendomi a distanza, con una mano su ciascuna delle mie spalle, come aveva fatto in casa mia .

– Margheritina – disse, con un sorriso; – benché questo non sia il nome datoti dal tuo padrino e dalla tua madrina, mi piace molto chiamarti così e... io vorrei, vor-774

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rei, vorrei, ché tu potessi darlo a me.

– Ma, se voglio, posso – risposi.

– Margheritina, se qualche cosa dovesse separarci, non pensare molto male di me, amico mio. Su! Facciamo questo patto. Pensa a me con indulgenza, se le circostanze dovessero mai separarci.

– Che cosa dici, Steerforth, di pensar con indulgenza e di pensar molto male. Il mio affetto per te è sempre lo stesso, immutabile.

Mi sentivo così compunto d’avergli mai fatto torto, anche con un pensiero non formulato, che la confessione fu sul punto di varcarmi le labbra. Ma se non fosse stato per la riluttanza che avevo di tradire la confidenza d’Agnese, ma se non fosse stato per non saper come dirla senza tradirla, la confessione le avrebbe varcate, prima ch’egli dicesse: «Dio ti benedica, Margheritina, e buona sera!». Nel dubbio che mi teneva, la confessione non le varcò; e ci stringemmo la mano e ci separammo.

Ero in piedi con l’alba incerta, e, vestitomi senza far rumore, m’affacciai nella sua stanza. Egli dormiva profondamente, coricato tranquillamente con la testa sul braccio, come l’avevo spesso veduto dormire a Salem House.

Arrivò poi il tempo, e presto, ché mi domandai perché nulla turbasse il suo riposo in quel momento. Ma dormiva – mi piace ancora di rappresentarmelo così –

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come l’avevo spesso visto dormire a Salem House; e così, in quell’ora di silenzio, lo lasciai.

... Per non toccar mai più, Steerforth, che Dio ti perdoni, quella tua mano allora insensibile, con sentimento di affetto e d’amicizia. Oh, no, no, mai più!

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XXX.

UNA PERDITA

Arrivai a Yarmouth la sera, e discesi all’albergo. Sapevo che la cameretta in più di Peggotty – la mia – sarebbe stata fra poco abbastanza occupata, se non era già in casa quella grande Visitatrice, innanzi alla quale tutti i viventi debbono far largo: così discesi all’albergo, e vi desinai, e vi presi stanza.

Erano le dieci quando uscii. Molte botteghe erano chiuse, e la città era triste. Arrivato innanzi a Omer e Joram, trovai gli scuri chiusi, ma la porta ancora aperta. Siccome in fondo vidi Omer, seduto a fumare accanto all’uscio del retrobottega, entrai e gli domandai notizie della sua salute.

– Bene, che Dio vi benedica! – disse Omer. – E voi come state? Accomodatevi. Non vi dispiace il fumo, spero?

– Per nulla affatto – io dissi: – mi piace anzi... nella pipa degli altri.

– Come, non nella vostra, eh? – rispose Omer, ridendo.

– Tanto meglio, signore. Cattiva abitudine questa, per un giovane. Accomodatevi, neanch’io fumerei, se non fos-777

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se per l’asma.

Omer m’aveva fatto posto, dandomi una sedia. Si risedette senza fiato, aspirando forte la pipa, come se contenesse una provvista di quell’elemento, ed egli vi s’attac-casse per non morire.

– Son dolente d’aver sentito cattive notizie di Barkis –

dissi.

Omer mi guardò con aspetto grave, e scosse il capo.

– Sapete come stia stasera? – chiesi.

– Vi avrei fatto la stessa domanda, signore – rispose Omer – se non fosse stato per ragioni di delicatezza. È

uno degli svantaggi del nostro mestiere. Quando qualcuno è malato, noi non possiamo domandare come sta.

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