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– Non erano caldi – disse Tiffey, mettendosi gli occhiali

– non più caldi. Le redini erano rotte, ed erano state tra-scinate per terra. Tutta la casa fu subito in piedi; tre domestici percorsero la strada e lo trovarono un miglio distante.

– Più d’un miglio, signor Tiffey – interruppe un giovine impiegato.

– Sì, credo che tu abbia ragione – disse Tiffey – più d’un miglio... non lontano dalla chiesa... giacente in parte sul ciglio della strada, a faccia a terra. Se egli fosse caduto sentendosi male, o se fosse disceso perché si sentiva male, nessuno sa. Nessuno sa neanche se fosse già morto, quando fu ritrovato; certo era perfettamente insensibile. Forse respirava ancora, ma non pronunziò più una parola. Fu chiamato subito un medico, ma tutto fu inutile.

Non posso descrivere lo stato in cui mi piombò questa notizia. La scossa datami da un avvenimento così improvviso, la cui vittima era l’uomo col quale stavo, per qualche rispetto, in disaccordo, il vuoto pauroso nella stanza occupata da lui fino al giorno innanzi e dove il tavolino e la sedia sembravano attenderlo ancora, e il suo ultimo manoscritto aveva l’apparenza d’uno spettro; l’indefinibile impossibilità di separar l’uomo da quel luogo, e il sentimento, ogni volta che s’apriva la porta, 990

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ch’egli potesse entrare; il silenzio strano e l’inerzia dello studio, e la insaziabile avidità con la quale i nostri impiegati parlavano dello scomparso, e quegli altri che entravano e uscivano continuamente, chiedendo notizie e particolari; tutto questo può facilmente capirsi da chiunque. Ma ciò che non posso descrivere si è come, ne-gl’intimi recessi del cuore, io sentissi una gelosia segreta perfino della morte; come mi sembrasse che la sua potenza mi cacciasse via dal pensiero di Dora; come fossi invidioso perfino del suo dolore, in modo che non saprei ridire; come soffrissi al pensiero che ella piangeva lontano da me e che altri la consolava; come avessi la tremenda egoistica brama di separarla da tutti, tranne che da me, e d’esserle tutto in tutto, proprio in quei momenti così poco propizi. In quel mio stato di turbamento

– non esclusivamente e specialmente mio, spero, ma sperimentato anche da altri – mi recai quella | sera a Norwood; e apprendendo da un domestico alla porta, che in casa c’era la signorina Mills, le feci indirizzare da mia zia una lettera che scrissi io. Lamentai sincerissima-mente la improvvisa morte del signor Spenlow, e piansi nello scriverne. La supplicai di dire a Dora, se Dora era in grado di dare ascolto, che egli mi aveva parlato con la massima cortesia e il massimo riguardo; e che non aveva parlato di lei che con tenerezza, senza neppure una minima parola di rimprovero. Sapevo che facevo questo con uno scopo egoistico, perché si parlasse di me a Dora; ma mi sforzai di credere che compivo un atto di 991

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giustizia verso la memoria del defunto. E forse lo credevo.

Il giorno dopo mia zia ricevé poche righe di risposta; indirizzate, di fuori, a lei, e dentro, a me. Dora era affranta dal dolore; e quando la sua amica le aveva chiesto se volesse mandarmi i suoi affettuosi saluti, aveva solo esclamato fra le lagrime, come sempre esclamava: «Oh, caro papà mio! Oh, povero papà mio!» Ma ella non aveva detto di no, e questo per me era l’importante.

Il signor Jorkins, che era stato a Norwood dopo la disgrazia; venne in ufficio pochi giorni dopo.

Egli e Tiffey si chiusero insieme per alcuni momenti, e, poi Tiffey s’affacciò e mi fece cenno di andare.

– Oh! – disse il signor Jorkins. – Io e il signor Tiffey, signor Copperfield, siamo in procinto di esaminare gli scaffali, i cassetti e gli altri ripostigli del defunto, con lo scopo di suggellare le sue carte private e cercare il testamento. Di testamento altrove non v’è traccia. Sarà bene che assistiate anche voi, se non vi dispiace.

Io ero stato in ansia per avere qualche notizia delle condizioni nelle quali la mia Dora si sarebbe trovata, come per esempio riguardo alla tutela e simili provvedimenti legali – ed ecco che qualche cosa avrei saputo. Cominciammo a cercar subito: il signor Jorkins apriva i cassetti e gli scaffali, e noi tutti ne toglievamo le carte. Le carte d’ufficio erano messe da un lato, e le carte private 992

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(che non erano numerose) dall’altro. Avevamo l’aspetto grave; e quando c’imbattevamo in un suggello, o in una matita, o in un anello, o in qualche oggettino della stessa specie, d’uso personale del signor Spenlow, abbassava-mo la voce.

Parecchi pacchetti erano già stati suggellati; e conti-nuavamo tranquillamente fra la polvere il lavoro, quando il signor Jorkins, applicando al socio defunto le me-desime precise parole che quegli aveva applicato a lui, ci disse:

– Era difficile smuovere il signor Spenlow dalla sua strada. Voi sapete com’era. Tendo a credere ch’egli non avesse fatto testamento.

– Oh, io so che l’aveva fatto! – dissi. Entrambi si fermarono a guardarmi.

– Proprio l’ultimo giorno che lo vidi – dissi – mi affermò d’averlo fatto, e che le sue faccende erano da parecchio tempo in ordine.

Il signor Jorkins e il vecchio Tiffey scossero il capo come d’accordo.

– Questo non mi promette nulla di buono – disse Tiffey.

– Nulla di buono – disse il signor Jorkins.

– Certo che non vorrete mettere in dubbio... – cominciai.

– Mio buon signor Copperfield! – disse Tiffey, metten-993

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domi la mano sul braccio, e chiudendo gli occhi mentre scoteva il capo – se foste stato al Commons tutto il tempo che ci sono stato io, sapreste che non c’è altro soggetto sul quale gli uomini siano così inconsistenti e così poco credibili.

– Ebbene, Dio vi benedica, anche lui mi fece la stessa osservazione – risposi insistendo.

– E allora non c’è altro da dire – soggiunse Tiffey, – È

mia opinione che il testamento non esista.

Mi sembrò strano, ma veramente il testamento non si trovò. Egli non aveva neppure avuto mai il pensiero di farne uno, a quanto le sue carte mostravano; perché non vi s’incontrò neanche un cenno, un memorando di qual che si fosse disposizione testamentaria. E non mi sorprese meno il fatto che i suoi affari erano in un vero caos. Appresi che era estremamente difficile stabilire ciò che dovesse, o ciò che avesse pagato, o ciò che pos-sedesse. Si considerò che da anni probabilmente non avesse neanche lui una chiara opinione in materia. A poco a poco risultò che egli, gareggiando nello sfoggio e nel lusso con tutti gli altri procuratori del Commons, aveva speso più di quanto guadagnava, che non era molto, e aveva ridotto il suo patrimonio privato, se era mai stato considerevole (il che era assai dubbio) addirittura a una inezia. Vi fu una vendita di mobili e si subaffittò la casa di Norwood; e Tiffey mi disse, non sospettando affatto come la cosa mi stesse a cuore, che lui, pagando 994

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tutti i debiti del defunto e deducendone la sua parte dei crediti della ditta non ancora riscossi, non avrebbe dato neanche un migliaio di sterline per tutto il resto.

Questo avveniva al termine di circa sei settimane.

Nel frattempo avevo sofferto delle vere torture, pensando di mettermi violentemente le mani addosso, quando la signorina Mills mi riferiva che la mia piccola straziata Dora non diceva altro, quando io le ero nominato, che: «Oh, il mio povero papà! Oh, il mio caro papà!».

Inoltre, che ella non aveva altri parenti che due zie, sorelle zitelle del signor Spenlow, le quali abitavano a Putney, e da molti anni non avevano avuto col fratello che dei rarissimi rapporti. Non che fossero mai state in guerra con lui (m’informò la signorina Mills); ma invitate, in occasione del battesimo di Dora, a partecipare al tè, mentre credevano d’avere il diritto d’assistere al pranzo, avevano scritto esprimendo la opinione che «il meglio per la pace di tutti» sarebbe stato per loro non muoversi di casa. Da allora esse se n’erano andate per la loro strada, e il loro fratello per la propria.

Quelle due donne emersero in quei giorni dal loro ritiro, e proposero a Dora di condurla con esse a Putney.

Dora, afferrandosi ad entrambe e piangendo, esclamò:

«Oh sì, zie! Per carità conducetemi a Putney con Giulia Mills e Jip!». Così se ne andarono, subito dopo il funerale.

Non so veramente come trovassi il tempo di frequentare 995

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Putney, ma mi riuscì, in un modo o nell’altro, di gironzare in quelle vicinanze spessissimo. La signorina Mills, per il più esatto disbrigo dei doveri dell’amicizia, teneva un diario; e soleva a volte venirmi incontro nella campagna a leggermelo, o (se non aveva tempo di farlo) a la-sciarmelo per un po’. Come ne leggevo avidamente i paragrafi, dei quali riporto qualche esempio!

«Lunedì. La mia dolce D. è molto abbattuta. Mal di capo. Richiamata la sua attenzione su J. dicendole che ha un bel pelo morbido. D. carezzato J. Svegliati così i ricordi, aperte le cateratte del dolore. (Sono le lagrime la rugiada del cuore? G. M.)

Are sens