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Egli mi disse d’esser diventato il locatario della casa occupata già da Uriah Heep; e che la signora Micawber sarebbe stata felice di ricevermi, ancora una volta, sotto il suo tetto.

– È modesto – disse il signor Micawber – per citare l’espressione favorita dell’amico Heep; ma può diventare il primo gradino d’un impianto domiciliare più sontuoso.

Gli chiesi se fino a quel momento fosse soddisfatto del trattamento che gli faceva il suo amico Heep. Ma egli si levò per accertarsi sé la porta fosse ben chiusa, prima di rispondermi, a voce sommessa:

– Mio caro Copperfield, un uomo preso nelle strettoie degli imbarazzi pecuniari è sempre, con la maggior parte delle persone, in una condizione svantaggiosa: svantaggio che aumenta, quando le strettoie son tali che lo costringono a domandare i suoi emolumenti prima che siano scaduti e dovuti. Tutto ciò che posso dire si è che il mio amico Heep ha risposto ad appelli ai quali è inutile riferirmi più ampiamente, e in maniera tale da ri-dondare ad onore sì della sua mente come del suo cuore.

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– Veramente non lo avrei mai supposto prodigo del suo denaro – osservai.

– Scusami – disse il signor Micawber, con aria impacciata – parlo del mio amico Heep per l’esperienza che n’ho.

– Son lieto che la vostra esperienza sia così favorevole –

risposi.

– Tu sei molto gentile, mio caro Copperfield – disse il signor Micawber; e intonò un’arietta.

– Vedete spesso il signor Wickfield? – chiesi per cambiar discorso.

– No – disse il signor Micawber con tono di disprezzo. –

Il signor Wickfield è, se mi è lecito dire, un uomo animato dalle migliori intenzioni; ma è... insomma... è antiquato.

– Temo che il suo socio cerchi di farlo apparir così –

dissi.

– Mio caro Copperfield – rispose il signor Micawber, dopo alcune malagevoli evoluzioni sullo sgabello: –

permettimi di farti un’osservazione. Io occupo qui un posto di fiducia. La discussione di certi argomenti, anche con la stessa signora Micawber (da tanto tempo compagna delle mie vicissitudini, e donna di notevole lucidità d’intelletto), è, son costretto a dire, incompatibile con le funzioni che ora mi sono affidate. Perciò mi 1005

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prendo la libertà di avvertirti che nelle nostre relazioni d’amicizia... che io spero non sarà mai turbata... dobbiamo fare una partizione. Da un lato di questa partizione –

disse il signor Micawber, rappresentandola sul tavolo con la riga – è l’intero campo dell’intelletto umano, con un’unica piccola eccezione; dall’altro, sta questa eccezione; vale a dire, gli affari dei signori Wickfield e Heep, con tutte le pertinenze e gli accessori. Confido di non offendere il compagno della mia giovinezza, facendo questa proposta alla sua serena discrezione.

Benché scorgessi nel signor Micawber un mutamento di maniere, che lo impacciava molto, come se fosse un vestito troppo stretto, capivo che non avevo il diritto di of-fendermene. Siccome glielo dissi, egli si sentì sollevato, e mi strinse calorosamente la mano.

– Sono incantato, Copperfield, ti giuro – disse il signor Micawber – della signorina Wickfield. Ella è una don-zella piena di leggiadria, di grazia e di virtù. Sul mio onore – disse il signor Micawber, baciandosi indefini-

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tamente la mano, e inchinandosi con la sua aria più nobile – io rendo omaggio alla signorina Wickfield! Hum!

– Sono lieto di questo, almeno – dissi.

– Se tu non ci avessi assicurato, mio caro Copperfield, quella volta che avemmo la felicità di passar con te quell’indimenticabile pomeriggio, che D. era la tua lettera favorita – disse il signor Micawber – avrei sicura-1006

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mente pensato che fosse invece la A.

Noi abbiamo la sensazione, a volte, che ciò che diciamo e facciamo sia stato già detto e fatto prima, in un tempo remoto – di essere stati circondati, in oscuri secoli lontani, dagli stessi visi, dagli oggetti, dagli stessi avvenimenti – di saper già prima ciò che ci sarà detto dopo, come se immediatamente la ricordassimo. Questa misteriosa impressione non l’ebbi mai più forte in vita mia, di quando egli pronunziò quelle parole.

In quel momento, mi congedai dal signor Micawber, incaricandolo dei miei saluti a tutti di casa. Egli riprese il suo posto e la penna, girò il collo nel solino, come per mettersi in grado di scrivere più facilmente, e chiaramente compresi che da quando aveva accettato quel suo nuovo ufficio, s’era interposto fra me e lui qualche cosa che c’impediva d’avvicinarci come una volta, e cambia-va assolutamente la natura delle nostre relazioni.

Non v’era nessuno nello strano e antico salotto, benché vi fossero indizi del passaggio della signora Heep.

Feci capolino nella stanza che apparteneva ancora ad Agnese, e la vidi occupata a scrivere a un grazioso antico tavolinetto, accanto al focolare.

L’ombra proiettata sull’ingresso le fece levar la testa.

Che piacere vederle il viso intento illuminarsi a un tratto al mio apparire, di uno sguardo di dolce benvenuto!

– Ah, Agnese! – dissi, quando fummo seduti l’uno ac-1007

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canto all’altra. – Recentemente m’è sembrata così dura la vostra mancanza.

– Davvero? – ella rispose. – Di nuovo! E così presto!

Io scossi la testa.

– Non so come mi avvenga, Agnese. Mi sembra di mancare d’una facoltà mentale che mi sarebbe necessaria.

Mi avete tanto abituato a pensare voi per me, nel felice tempo d’una volta, e a ricorrere così naturalmente a voi quando mi occorreva un consiglio e un aiuto, che veramente credo di non aver avuto il modo di formarmi l’abitudine di pensar da me.

– Che c’è dunque? – disse Agnese allegramente.

– Non so che dirvi – risposi. – Io credo d’esser serio e tenace.

– Lo credo anch’io – disse Agnese.

– E paziente, Agnese?... – chiesi, con un po’ d’esitazione.

– Sì – rispose Agnese, con un sorriso. – Piuttosto.

E pure – dissi – a volte sono così infelice e così triste, e così malfermo e irresoluto nel prendere una decisione, che evidentemente mi manca... che debbo dire?... un sostegno, forse.

– Forse, se dite così – disse Agnese.

– Bene – risposi – vedete. Voi venite a Londra, io m’af-1008

Are sens