Egli era diventato in quel momento quasi insensibile; e quando lo udii piangere, l’impulso che avevo sentito d’inginocchiarmi e chiedergli perdono del dolore di cui ero stato cagione, e di maledire Steerforth, fu seguito da un sentimento migliore. Il mio cuore oppresso trovò lo stesso sollievo, e piansi anch’io.
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XXXII.
L’INIZIO D’UN LUNGO VIAGGIO
Ciò che accadde in me, accade in molti altri, immagino, e così non temo di scrivere che non avevo mai sentito per Steerforth l’affetto che sentii nell’ora che si ruppero i legami della mia amicizia per lui. Nella grave angoscia che mi diede la scoperta della sua indegnità, mi soffer-mai con calda ammirazione sulle sue belle qualità, mi intenerii vivamente per tutto ciò che c’era di buono in lui, resi un ampio omaggio a tutte le doti che avrebbero potuto farlo divenire un grande e nobile personaggio, più di quanto avessi fatto mai in passato nel colmo della mia devozione. Per quanto profondamente amareggiato della parte involontaria avuta da me nel disonore di un galantuomo, credo che se mi fossi trovato da solo a solo con Steerforth, non avrei avuto la forza di muovergli un solo rimprovero. Gli avrei ancora voluto bene – benché i miei occhi si fossero aperti – avrei conservato con tanta tenerezza il ricordo del mio affetto per lui, che sarei stato, temo, debole in tutto, come un fanciullo che non sa che piangere, tranne nel pensiero, che non ebbi mai, che potessimo mai riconciliarci. Sentivo, e come aveva sentito lui, che tutto era finito fra noi. Io non ho mai saputo qual ricordo egli conservasse di me; forse era un ricor-808
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do, una di quelle leggere memorie che facilmente si can-cellano; ma quello che avevo io di lui era il ricordo di un dilettissimo amico defunto.
Sì, Steerforth, da lungo tempo lontano dalle scene di questa modesta storia. Il mio dolore può portare una testimonianza involontaria al Trono dell’Eterno; ma, per quanto io mi sappia, non un mio moto di collera, non un mio rimprovero!
La notizia di ciò che era accaduto si sparse subito per la città; e quando la mattina appresso ne traversai le vie, sentii la gente parlarne sugli usci. Molti si mostravano severi per lei, pochi erano severi per lui; ma per il suo secondo padre e il suo fidanzato il sentimento era unanime. Per la sventura che li aveva colpiti appariva in tutte le classi un rispetto pieno di delicatezza. I marinai se ne rimasero in disparte quando li videro la mattina presto camminar lentamente sulla spiaggia, e nei crocchi che si formavano si parlò di loro con compassione.
Io li trovai appunto sulla spiaggia sul limite dell’acqua.
Sarebbe stato facile capire che non avevano chiuso occhio tutta la notte, anche se Peggotty non m’avesse detto che erano rimasti seduti, come io li avevo lasciati, fino a giorno chiaro. Erano abbattuti; e a me parve che la testa del pescatore Peggotty si fosse incurvata in una notte più che in tutti gli anni della nostra conoscenza; ma apparivano entrambi gravi e pacati, come il mare, che si stendeva sotto il cielo bigio senza il fremito d’un’onda –
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pur con un grave movimento, come se respirasse nel suo riposo – e sfumato all’orizzonte dalla striscia di luce ar-gentea che vi metteva il sole nascosto.
– Abbiamo parlato a lungo, signore – mi disse il pescatore Peggotty, dopo aver passeggiato un poco tutti e tre in silenzio – di ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare.
Ma ora abbiamo visto la via da seguire.
Diedi, per caso, un’occhiata a Cam, che in quell’istante contemplava la striscia chiara del lontano orizzonte, e un terribile pensiero m’occupò la mente – non perché egli avesse una fiera espressione di collera, il che non era; ma perché gli vidi il riflesso d’una fredda determinazione – che se mai avesse incontrato Steerforth, l’avrebbe ucciso.
– Il mio dovere qui, signore – disse il pescatore Peggotty – è compiuto. Io vado a cercar mia nipote... – Si fermò e continuò con voce più ferma: – Vado a cercarla. Il mio dovere è questo oramai.
Scosse il capo, quando gli chiesi dove sarebbe andato a cercarla, domandandomi se sarei partito per Londra la mattina dopo. Gli risposi che non me n’ero andato subito, perché temevo di perdere l’occasione di essergli utile in qualche cosa; ma che ero pronto a partire a un suo cenno.
– Verrò insieme con voi domani, signore – egli soggiunse – se non vi dispiace.
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Camminammo di nuovo, per un poco in silenzio.
– Cam – subito egli ripigliò – continuerà a lavorare qui, e andrà ad abitare con mia sorella. Il vecchio battello laggiù...
– Vorreste abbandonare la vostra casa, signor Peggotty?
– lo interruppi dolcemente.
– Il mio posto, signorino Davy – egli rispose – non è più là. Se un battello è mai naufragato, dal tempo che v’era la tenebra sulla superficie dell’abisso, è proprio quello laggiù. Ma no, signore, no; non voglio che sia abbandonato; lungi da me questo pensiero.
Camminammo di nuovo per un poco, come prima, e poi mi spiegò:
– È mio desiderio, signore, che esso rimanga, giorno e notte, inverno ed estate, come è stato sempre, da che lei v’entrò la prima volta. Se mai i suoi passi erranti la ri-conducessero qui, non vorrei che la sua abitazione avesse l’aria di scacciarla, mi capite; anzi che tentasse d’at-trarla più da presso, la invitasse a farvi capolino, a guardar a traverso la finestra, come un fantasma, forse, nel vento e nella pioggia, guarda il suo antico posto accanto al fuoco. Allora, forse, signorino Davy, non vedendovi altri che la signora Gummidge, potrebbe essere incoraggiata ad entrarvi, tremante; e forse si lascerebbe adagia-re nel suo antico lettino, per riposare il capo stanco sul guanciale dove una volta dormiva sonni così tranquilli.
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Non potei rispondere nulla, per quanto mi sforzassi.
– Ogni sera – disse il pescatore Peggotty – appena si fa buio, si deve metter la candela dietro il solito vetro, perché se a lei avvenga mai di vederla, le paia che le dica:
«Ritorna, figlia mia, ritorna». Se mai la sera senti picchiare alla porta di tua zia, Cam, con mano timida, non andare ad aprire. Che sia lei... non tu... a veder prima la mia povera figliuola.